Brexit: risvolti fiscali in caso di “no deal”

Brexit: risvolti fiscali in caso di “no deal”

L’approssimarsi della data di uscita del Regno Unito dall’UE, a seguito del referendum del 23 giugno 2016, rende quanto mai necessario fare il punto sulle conseguenze fiscali della “Brexit”, specie nel caso, che ad oggi rimane l’ipotesi più probabile, di “hard Brexit” o “no deal” ovvero di un’uscita dalla UE senza un accordo che regoli gli effetti in un periodo transitorio.

Come noto, sono tuttora in corso trattative fra il Regno Unito e l’UE per concordare le modalità del recesso dalla UE secondo la procedura di cui all’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea; negli ultimi tempi, considerate le difficoltà del Governo UK di far approvare un accordo, si è persino prefigurato lo slittamento della data di uscita di qualche mese, data che tuttavia ad oggi è fissata al 12 aprile prossimo.

Allo stato attuale, in cui sono alte le probabilità di un “no deal”, in attesa di conoscere con certezza tempi e modalità della Brexit, è utile esaminare i possibili scenari futuri con cui si dovranno confrontare gli operatori che effettuano scambi commerciali con, o attraverso, il Regno Unito; ciò al fine di poter valutare in anticipo l’impatto della trasformazione del Regno Unito in un Paese extraUE sui reciproci scambi transfrontalieri di merci, con particolare riguardo, per quel che qui interessa, agli aspetti fiscali e doganali.

Come noto, il mercato comune UE consente la libera circolazione di persone e merci in tutti gli Stati membri e garantisce altresì la libertà di circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento per cittadini e imprese.

E’ evidente che un’uscita senza accordo dall’UE comporterà come primo effetto, la conseguenza che il Regno Unito non sarà più soggetto al Diritto Europeo, e, quindi al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e alle Direttive e Regolamenti emanati in attuazione del trattato.

Con riguardo all’ambito fiscale, in particolare, non saranno più applicabili agli scambi con UK le semplificazioni previste per le operazioni fra soggetti UE, sia sotto il profilo delle imposte dirette che quello delle imposte indirette.

Si segnala come il Governo italiano, e alla luce dell’attuale incertezza in merito alla ratifica dell’accordo per il recesso UK dall’Unione europea, abbia recentemente emanato un decreto-legge recante “Misure urgenti per garantire la stabilità finanziaria e l’integrità dei mercati nonché tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito, in caso di recesso di quest’ultimo dall’Unione europea” con l’obiettivo di tutelare la stabilità complessiva del sistema economico, bancario, finanziario e assicurativo italiano in particolare nel caso di hard Brexit (Nota 1).

Nel corso del presente articolo, la cui finalità è quella di focalizzare l’attenzione sui principali effetti fiscali per le imprese, ci soffermeremo dapprima sulle conseguenze di un no deal sul piano della tassazione dei flussi di reddito delle imprese italiane che investono sul territorio britannico e delle imprese del Regno Unito che effettuano investimenti nel nostro Paese, esaminando in particolare il venir meno delle agevolazioni previste dalla normativa comunitaria in materia di dividendi, interessi royalties ecc.. Da ultimo analizzeremo le tematiche relative alle imposte indirette: dopo un cenno alle conseguenze in materia doganale dell’esclusione del Regno Unito dal Codice Doganale UE, tratteremo in particolare le conseguenze in ambito IVA della riqualificazione delle operazioni da intraUE in Extra UE con la necessità di revisionare le procedure di fatturazione e gli adempimenti e le complicazioni relative ai rimborsi.

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In materia di imposte dirette, la Brexit senza accordo, comporterebbe, in particolare, l’immediata inapplicabilità ai rapporti con UK delle seguenti discipline agevolative:

  • Disciplina dei dividendi prevista dalla Direttiva n. 90/435/CE c.d. Direttiva madre-figlia e art. 27 c. 3ter DPR 600/73;
  • Disciplina su interessi e royalties prevista dalla Direttiva n. 2003/49/CE c.d. Direttiva interessi-canoni;
  • Disciplina sulla exit tax di cui all’art. 166, comma 1 del Tuir;
  • Disciplina delle operazioni di riorganizzazione transfrontaliere nell’UE di cui alla Direttiva 2009/133/CEE (Nota 2) ;
  • Direttive n. 2011/16/UE e n. 2014/107/UE sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e la Direttiva 2010/24/UE sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti (Nota 3).

Occorre sin da ora segnalare che resteranno comunque sempre in vigore le previsioni della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra Italia e Regno Unito.

Prima di passare in rassegna i principali effetti della Brexit sull’applicazione delle specifiche normative sopra indicate, al fine di poter apprezzare le potenziali implicazioni che tale evento può comportare sugli operatori italiani, a titolo esemplificativo è utile segnalare una questione recentemente affrontata dalla Suprema Corte in materia di libertà di stabilimento e comportamenti abusivi legati al fenomeno dei gruppi societari italiani che costituiscono holding all’estero.

La Corte di Cassazione con le pronunce nn. 33234 e 33235 del 2018 ha affermato che “in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé stessa un abuso di tale libertà”.

A seguito della Brexit e della perdita da parte del Regno Unito della qualifica di Stato UE, non è chiaro il futuro trattamento legislativo e fiscale riservato ai gruppi societari con holding UK.

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Ciò premesso, di seguito si offre un’analisi dei riflessi della Brexit sulla tassazione dei principali flussi reddituali.

Con particolare riferimento ai flussi di dividendi tra una società-madre britannica e una società-figlia italiana, non potranno più applicarsi il regime di esenzione (o il rimborso) delle ritenute derivanti dalla Direttiva Madre-figlia, trasfuse nell’articolo 27-bis del D.P.R. 600/1973, nonché la ritenuta ridotta del 1.375% di cui all’art. 27, comma 3ter del D.P.R. 600/1973 (Nota 4).

Nell’ipotesi di hard Brexit, i dividendi dovranno essere assoggettati alla ritenuta piena del 26% salvo applicazione delle minori ritenute previste dall’art.’10 della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra Italia e Regno Unito (Nota 5):

  • ritenuta a titolo di imposta non superiore al 5% dell’ammontare lordo dei dividendi, se il beneficiario effettivo è una società che controlla, direttamente o indirettamente, almeno il 10% del potere di voto della società che paga i dividendi
  • ritenuta a titolo di imposta non superiore al 15% dell’ammontare lordo dei dividendi in tutti gli altri casi.

In caso di hard Brexit, quindi, al fine di ridurre la doppia imposizione la casa Madre UK avrà l’onere di richiedere l’applicazione delle ritenute convenzionali ridotte, presentando apposita richiesta.

Relativamente al trattamento degli interessi e dei canoni pagati da Italia a UK, non sarà più applicabile la Direttiva 2003/49/CE, in vigore dal 1° gennaio 2004, che prevede l’eliminazione delle ritenute d’imposta sui pagamenti di interessi (e royalties) tra  società consociate, operanti in Paesi diversi dell’UE (Nota 6).

Di contro, gli interessi dovranno essere assoggettati alla ritenuta del 26% salvo applicazione della ritenuta ridotta del 10% prevista dalla Convenzione contro le doppie imposizioni (Nota 7).

Parimenti, non sarà più applicabile il regime di esenzione neppure a canoni/royalties corrisposti per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, marchi d’impresa, ecc a cui, al limite, potrà invece applicarsi la ritenuta del 8% prevista dalla Convenzione IT-UK (Nota 8).

Si segnala, per contro, che con riferimento agli interessi su titoli di Stato e obbligazioni di “grandi emittenti” erogati a soggetti UK rimane applicabile l’esenzione da ritenuta ai sensi art. 7 del D.Lgs. 239/1996, in quanto il Regno Unito resta un Paese con adeguato scambio d’informazioni, anche dopo la Brexit.

Sempre nell’ambito delle imposte sui redditi occorre segnalare come la Brexit muterà il regime di tassazione in caso di trasferimento di un’impresa italiana in UK. Dopo la Brexit non sarà infatti più applicabile la possibilità di differire il versamento della exit tax di cui all’art. 166 comma 2 quater Tuir (Nota 9) e, pertanto, una società italiana che trasferisca la residenza fiscale nel Regno Unito non potrà più rinviare o rateizzare l’imposta sulle plusvalenze latenti realizzate come invece consentito dalla norma citata per i trasferimenti di residenza nell’ambito UE.

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Di seguito si esaminano i probabili effetti della Brexit sotto il profilo delle imposte indirette, con particolare attenzione ai profili IVA.

Prima di soffermarci sugli effetti IVA, occorre però evidenziare l’immediato impatto che un mancato accordo può comportare sulla circolazione ed il trasporto di merci da e verso il Regno Unito, da considerarsi commercio con un Paese terzo, con l’obbligo di dover espletare le formalità doganali. Ciò, oltre a comportare un aggravio del costo delle merci, legato soprattutto ai dazi da pagare allo sdoganamento dei beni, avrebbe anche delle ripercussioni negative sulla logistica, tenuto conto dei tempi necessari per la gestione delle formalità doganali. Segnalo che sul portale dell’Agenzia Dogane e Monopoli, nella sezione “INFOBREXIT“, sono state pubblicate le Linee guida predisposte dall’Agenzia in materia di IVA/dogane e accise sul tema della Brexit (Nota 10).

Sotto il profilo dell’IVA, poi, rilevanti sono gli effetti per gli operatori, non solo con riferimento alle procedure da rivedere ma soprattutto con riguardo alla modifica sostanziale del regime applicabile.

Come anticipato, operazioni sino ad ora trattate come cessioni/acquisti di beni intra-UE dovranno essere riqualificate come cessioni all’esportazione/importazioni. In particolare, per le aziende che importano prodotti da UK non si applicherà più il particolare regime del reverse charge intra UE di cui agli artt. 38 e 46 DL 331/1993 (Nota 11) che garantisce la neutralità dell’imposta assolta in Italia; dovrà invece applicarsi il più gravoso regime delle importazioni da Paese extra UE, in termini sia di obblighi Iva che di dazi da assolvere in dogana.

Analogamente, le esportazioni di beni nel Regno Unito non saranno più soggette alla non imponibilità Iva prevista per le cessioni IntraUE dagli artt. 41 e 50 DL 331/1993 e ai connessi obblighi di comunicazione Intrastat, ma alle norme in materia di esportazioni, con la possibilità di fatturare le cessioni in non imponibilità IVA solo al ricorrere delle più stringenti regole di cui all’art. 8 e 8 bis del DPR 633/72.

Anche con riguardo alla prestazione di servizi, soprattutto quelli da UK, sarà necessario rivedere i processi di fatturazione, in quanto la controparte non sarebbe più un soggetto passivo di imposta UE. Ed inoltre, non saranno più applicabili alcuni particolari regimi previsti in ambito UE, quali: la disciplina delle lavorazioni intra comunitarie (di cui all’art. 41, comma 3 e all’art 38, comma 5, lettera a) del DL n 331/1993), il regime del MOSS per i servizi di e-commerce, telecomunicazione, teleradiodiffusione e servizi elettronici, prestati nei confronti di privati consumatori ecc.

A seguito della Brexit le operazioni IVA con operatori UK non saranno più soggette agli obblighi di comunicazione Intrastat, ma, come chiarito dall’Agenzia delle entrate con risposta a interpello n. 85 del 2019, dovranno essere comunicate all’Agenzia attraverso il cosiddetto “esterometro”.

Da ultimo, sempre in ambito Iva si segnala la gravosa conseguenza per gli operatori UK di non poter più accedere alla procedura semplificata per il rimborso dell’IVA sostenuta in altri Stati membri dell’UE di cui all’art. 38bis2 DPR633/72 che prevede l’invio della richiesta all’Agenzia fiscale del proprio Paese che, a sua volta, trasmette la documentazione alle altre autorità fiscali interessate. In futuro le imprese UK, per poter recuperare l’imposta a credito in altri Stati UE dovranno necessariamente applicare la più complessa procedura di cui all’art. 38ter DPR 633/72 prevista per le imprese non UE, che comporta la richiesta all’ autorità fiscale del Paese in cui l’imposta è stata assolta, con le complicazioni e le difficoltà che si possono intuire.

 

Nota 1) Si tratta del D.L. n. 22 del 25 marzo 2019 (GU n. 71 del 25 marzo 2019), in vigore dal 26 marzo scorso, che prevede un regime transitorio a tutela di imprese e investitori al fine, in particolare, di:

– assicurare la continuità nella prestazione dei servizi bancari, finanziari e assicurativi da parte sia dei soggetti del Regno Unito operanti in Italia sia dei soggetti italiani operanti nel Regno Unito;

– disciplinare la fuoriuscita ordinata dal mercato italiano dei soggetti aventi sede nel Regno Unito che cesseranno l’attività nel territorio della Repubblica;

– dettare ulteriori misure in caso di recesso del Regno Unito in assenza di accordo, in particolare, disposizioni tese a regolamentare le modalità di permanenza sul territorio nazionale dei cittadini del Regno Unito e dei loro familiari;

– disciplinare la concessione della cittadinanza in favore dei cittadini e alle imprese presenti nel Regno Unito.

In particolare, il decreto stabilisce che le banche del Regno Unito, durante il periodo transitorio, possono continuare a svolgere la propria attività in Italia, seppure con una serie limitazioni, previa notifica alla Banca d’Italia.

Le banche, le imprese di investimento che vorranno continuare ad operare oltre il periodo transitorio saranno obbligate a presentare alle autorità competenti, entro il termine massimo di sei mesi dalla data di avvio di detto periodo, l’istanza prevista per l’autorizzazione allo svolgimento delle relative attività ovvero per la costituzione di un intermediario italiano.

Nota 2) La Direttiva 2009/133/CE del 19.10.2009 ha introdotto dal dicembre 2009 una disciplina uniforme per le operazioni di riorgnizazione  societaria (fusioni, scissioni, conferimenti di aziende e scambi di partecipazioni) che coinvolgono società residenti in Stati diversi dell’UE. Tale disciplina, trasfusa negli artt. 178-181 TUIR e di recente modificata dal c.d. «Decreto Internazionalizzazione» (artt. 11 e 12, D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 147), prevede in linea di principio la neutralità fiscale di tali operazioni sia per quanto riguarda i beni delle società che effettuano l’operazione sia per i soci.

Nota 3) La Direttiva 2011/16/UE, al fine di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva e l’elusione internazionale, ha introdotto misure dirette a rendere effettiva la cooperazione tra Stati UE e la trasparenza in materia fiscale estendendo la cooperazione alle imposte di ogni genere e  stabilisce lo scambio  automatico  di  informazioni  come regola generale mediante l’abolizione del segreto bancario. In tale contesto è stato previsto (all’art. 8), che l’autorità competente di ciascuno Stato membro comunica all’autorità competente di qualsiasi altro Stato membro, mediante scambio automatico, le informazioni disponibili  sui periodi d’imposta a partire dal 1° gennaio 2014, riguardanti i residenti  in quest’ultimo Stato membro, sulle specifiche categorie di reddito. Successivamente la Direttiva 2014/107/UE ha ampliato l’ambito di applicazione dello scambio automatico di informazioni tra le Amministrazioni finanziarie UE.

Gli effetti della Brexit sotto il profilo della collaborazione e trasparenza finanziaria nel complesso dovrebbero essere limitati posto che troverebbe applicazione l’art. 27 della Convenzione Italia-UK (che disciplina però soltanto lo scambio di informazioni su richiesta), ma soprattutto alla luce del fatto che il Regno unito ha sottoscritto nel tempo diverse Convenzioni sullo scambio di informazioni (TIEA – Tax Information Exchange Agreements) nonché la Convenzione sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale (1988).

Anche successivamente alla Brexit, UK sarà tenuto a rispettare gli impegni assunti quale membro dell’OCSE, primi fra tutti quelli previsti dal Progetto BEPS.

Nota 4) In particolare, l’art. 27-bis D.P.R. n. 600/1973, che ha recepito nell’ambito dell’ordinamento tributario nazionale la direttiva n. 90/435/CEE, prevede una speciale disciplina di favore che consente la non applicazione (o il rimborso) della ritenuta per gli utili distribuiti da una società residente in uno Stato della UE, che possieda i seguenti requisiti:

– rivesta una delle forme previste nell’allegato alla direttiva n. 90/435/CEE (società di capitali);

– risieda ai fini fiscali in uno Stato membro UE;

– sia soggetta nello Stato di residenza ad imposta sul reddito delle società;

– possieda una partecipazione diretta nella società erogate gli utili non inferiore al 10% del capitale per un periodo ininterrotto di almeno un anno.

Nel caso non sia ancora decorso l’holding period di un anno, la ritenuta viene applicata e al decorrere dell’anno il contribuente potrà richiederla a rimborso, con apposita istanza al Centro Operativo di Pescara, unitamente ad una certificazione rilasciata dalle Autorità fiscali dello Stato di residenza che attesti la sussistenza dei requisiti soggettivi in capo alla società percipiente e una dichiarazione della società stessa attestante la sussistenza del requisito di possesso per almeno un anno.

La produzione della documentazione prima della data del pagamento dei dividendi è condizione indispensabile per poter beneficiare della esenzione dalla ritenuta sui dividendi. La documentazione ha validità annuale.

In mancanza di tali condizioni per l’esenzione, ai dividendi in ambito UE si applica la norma di cui al comma 3-ter dell’art. 27, D.P.R. n. 600/1973, secondo cui, nel caso di corresponsione di utili da parte di una società italiana alle società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società negli Stati membri UE o negli Stati aderenti all’Accordo per lo spazio economico europeo, la ritenuta a titolo d’imposta è stabilita nella misura dell’1,375%.

Nota 5) Si riporta il testo dell’art. 10 della Convenzione Italia-Regno Unito

“1. I dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato.

  1. Tuttavia, tali dividendi possono essere tassati anche nello Stato contraente di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere:
  2. a) il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se l’effettivo beneficiario è una società che controlla, direttamente o indirettamente, almeno il 10 per cento del potere di  voto  della  società  che  paga  i dividendi;
  3. b) il 15 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi in tutti gli altri casi.”.

Nota 6) Nello specifico non sarà più applicabile l’art. 26-quater del D.P.R. n. 600/1973, che ha recepito la direttiva n. 2003/49/CE e prevede l’esenzione da qualunque imposta per gli interessi e i canoni pagati da una società di capitali (o un ente non commerciale) residente in Italia e assoggettati a Ires, ad una società o ad una Stabile organizzazione (SO) residente in altro Stato UE che soddisfi determinati requisiti soggettivi e partecipativi.

Quanto ai requisiti soggettivi, le beneficiarie devono: a) rivestire una forma giuridica indicata nell’allegato A della direttiva del Consiglio del 3 giugno 2003, n. 2003/49/CE; b) avere la residenza fiscale in uno Stato membro UE; c) essere assoggettate, senza fruire di regimi di esonero, ad una delle imposte indicate nell’allegato B della direttiva d) essere beneficiarie effettive dei redditi relativi a interessi e canoni.

Inoltre, devono essere rispettati i seguenti requisiti partecipativi:

– la società che effettua il pagamento deve detenere direttamente una percentuale non inferiore al 25% dei diritti di voto nella società che riceve il pagamento o, viceversa, essere partecipata nella stessa percentuale dall’altra;

– una terza società avente i requisiti soggettivi di cui all’allegato A della direttiva deve detenere direttamente una percentuale non inferiore al 25% dei diritti di voto sia nella società che effettua il pagamento sia nella società che riceve il pagamento.

Le partecipazioni devono essere detenute ininterrottamente per almeno un anno. In caso in cui non sia decorso l’anno non è possibile richiedere l’esenzione ma, una volta decorso il periodo è consentito richiedere il rimborso della imposta subita.

Nota 7) L’art. 11 della Convenzione tra Italia e Regno Unito prevede che “gli interessi provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in tale altro Stato. Tuttavia, tali interessi possono essere tassati anche nello Stato contraente dal quale essi provengono, ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma se la persona che li percepisce ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta applicata non può eccedere il 10% dell’ammontare lordo degli interessi”.

Nota 8) L’art. 12 della Convenzione tra Italia e Regno Unito prevede che “i canoni provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in tale altro Stato.

Tuttavia, i canoni possono essere tassati anche nello Stato contraente dal quale essi provengono ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma, se la persona che percepisce i canoni ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta applicata non può eccedere l’8% dell’ammontare lordo dei canoni”.

Nota 9) L’articolo 166, comma 1 del Tuir stabilisce che il trasferimento all’estero della residenza di un soggetto esercente attività di impresa costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale. In conseguenza del trasferimento, pertanto, la differenza tra il valore normale e il costo fiscalmente riconosciuto (la plusvalenza) dei beni costituenti l’azienda sarà tassata in Italia con la cosiddetta «exit tax». La plusvalenza in via ordinaria dovrebbe concorrere alla formazione del reddito d’impresa nell’esercizio di realizzo o, a tassazione separata; tuttavia nel caso di trasferimento di residenza in altri Paesi UE (o Stati collaborativi aderenti a SEE ma solo a condizione di reciprocità) è possibile alternativamente optare per:

  • Il versamento rateale dell’imposta;
  • la sospensione del versamento sino al verificarsi di eventi realizzativi e comunque al decorso di 10 anni.

Nota 10) Le Linee Guida sono pubblicate on line sul seguente link:

https://www.adm.gov.it/portale/documents/20182/4527682/Linee+guida+BREXIT+accise.pdf/443d6932-4245-42ca-803c-24ba60e5dca8

L’Agenzia Dogane e Monopoli ha anche inviato una lettera informativa agli operatori economici che finora hanno effettuato transazioni commerciali con il Regno Unito, per informarli sulle conseguenze della Brexit; in particolare, viene precisato che, a decorrere dal 18 marzo 2019, l’Agenzia faciliterà l’acquisizione del codice identificativo unico, denominato E.O.R.I. (Economic Operator Registration and Identification), necessario per poter effettuare le operazioni doganali con Paesi extraUE. Si segnala inoltre, che: a) l’indicazione dell’origine preferenziale UE, ad oggi attribuita a prodotti finiti realizzati nella UE e risultanti da lavorazioni di materie prime provenienti da UK, potrebbe non essere più possibile; b) un soggetto UK non potrebbe più agire come esportatore ai fini doganali, in quanto ciò è riservato solo ai soggetti stabiliti nella UE, e si verificherebbe la perdita di efficacia delle autorizzazioni, rilasciate da autorità doganali UK, che esplicano effetti anche in altri Stati UE (certificazione AEO, esportatore autorizzato, ecc..).

Nota 11) Come noto, con riferimento agli acquisti intra UE l’art. 46 citato impone l’obbligo di integrare la fattura ricevuta con l’imposta italiana e annotarla nel Registro acquisti e vendite.