La nuova mappa dei Paradisi fiscali

Negli ultimi anni sono stati più volte modificati sia gli elenchi che i criteri che individuano i cosiddetti “Paradisi fiscali” o Paesi a fiscalità privilegiata e le norme fiscali ad essi collegate. Si rende utile fare il punto sullo stato dell’arte di tale disciplina finalizzata alla lotta contro l’evasione fiscale, le frodi fiscali internazionali e nazionali e il riciclaggio di denaro, anche alla luce del notevole impegno profuso in ambito internazionale dall’OCSE per la lotta contro l’evasione e l’elusione fiscale internazionale.


In linea generale per “Paradiso fiscale” o Paese a fiscalità privilegiata si fa riferimento a Stati che presentano una tassazione molto bassa in confronto a quella italiana e una scarsa disponibilità allo scambio di informazioni con altri Paesi.
Le caratteristiche dei Paesi considerati come paradisi fiscali, sono state identificate dall’OCSE già nell’occasione della pubblicazione del rapporto “Harmful Tax Competition – An Emerging Global Issue”, nei seguenti punti:
• sostanziale mancanza di imposte sui redditi delle imprese costituite nei propri territori;
• assenza, all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici, dell’obbligo per le società ivi costituite di svolgere un’effettiva attività d’impresa nei relativi territori;
• poca trasparenza del sistema legislativo e amministrativo, che consente a determinati soggetti di beneficiare di privilegi in termini di ridotta tassazione dei redditi;
• assenza di alcun meccanismo di scambio delle informazioni fiscali tra tali Paesi e gli altri Stati finalizzato a garantire la potestà impositiva di questi ultimi e a combattere i fenomeni di evasione ed elusione fiscale internazionale.
Negli ultimi anni, si è assistito ad un rafforzamento della lotta all’evasione fiscale in ambito internazionale. Successivamente al G20 di Londra del 2 aprile 2009, l’OCSE ha adottato un orientamento più restrittivo in tema di trasparenza, a seguito del quale numerosi Paradisi fiscali hanno intrapreso un percorso di adeguamento agli standard OCSE di trasparenza e cooperazione internazionale; al fine di essere inclusi fra i “Paesi collaborativi” hanno stipulato accordi bilaterali sullo scambio di informazioni conformi al Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni OCSE e sulla base del Modello di TIEA (Tax Information Exchange Agreement).
Un ulteriore impulso alla lotta internazionale ai Paradisi fiscali è giunto nel 2013, dall’avvio da parte dell’OCSE degli studi BEPS in materia di lotta all’erosione della base imponibile mediante il profit shifting (www.oecd.org/ctp/beps). Infine, nell’anno 2014 è stato approvato lo standard globale per lo scambio automatico multilaterale delle informazioni finanziarie (Standard for Automatic Exchange of Financial Information in Tax Mat) aggiornato nella seconda edizione del 27 marzo 2017 (www.oecd.org/ctp/exchange-of-tax-information/standard-for-automatic-exchange-of-financial-account-information-in-tax-matters-second-edition-9789264267992-en.htm).
Importanti novità sulla definizione e individuazione dei Paradisi fiscali sono recentemente state introdotte in ambito comunitario. Il 5 dicembre 2017 l’Ecofin ha approvato la lista unica europea dei Paesi “non collaborativi” nel settore fiscale “non cooperative jurisdictions”, una prima vera “Black list UE”, allo scopo di aiutare i Paesi Membri dell’UE nella lotta all’evasione fiscale e all’abuso dell’arbitraggio fiscale (Nota 1)
I criteri adottati per la selezione dei Paesi che rientrano nella lista unica europea sono stati decisi dall’Ecofin l’8 novembre 2016 e tengono conto del livello di trasparenza nel sistema fiscale assicurato dai Paesi, della presenza di regimi impositivi equi e dell’attuazione delle misure dirette a contrastare il fenomeno dell’erosione della base imponibile, le norme dell’Ocse sul trasferimento dei profitti da un paese all’altro.
Le giurisdizioni comprese nella black list UE sono incoraggiate ad apportare le modifiche richieste dalla possibilità che sia l’UE che gli Stati membri applichino misure difensive che vanno dall’indeducibilità dei costi all’inclusione dello Stato estero nella black list CFC, dalla previsione di oneri documentali più rigidi alla comunicazione obbligatoria, da parte degli intermediari, di pratiche di pianificazione fiscale potenzialmente aggressive.

Nel nostro ordinamento interno, la definizione di paradiso fiscale rileva ai fini dell’applicazione di una serie di norme volte a contrastare l’occultamento di redditi e l’erosione degli imponibili fiscali, quali le disposizioni del Tuir relative alla residenza delle persone fisiche, alle cosiddette Cfc “Controlled foreign companies”, ecc..
L’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata in passato veniva effettuata puntualmente mediante specifici elenchi contenuti in decreti ministeriali emanati ad hoc. Oggi i paradisi fiscali sono individuati sulla base di criteri sostanziali ciò che rappresenta un metodo più efficace ma, al tempo stesso, ne ha reso più difficoltosa l’ individuazione rispetto al passato in quanto si rende necessario un esame accurato della tassazione applicata nel singolo Paese.
Negli ultimi anni, inoltre, si è assistito ad una semplificazione degli adempimenti grazie all’abolizione dell’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate delle operazioni poste in essere con i soggetti residenti nei Paesi a fiscalità privilegiata, dal 1° gennaio 2017, per effetto del decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio 2017.
Si ricorda che i Paesi a fiscalità privilegiata continuano a rilevare ai fini degli obblighi sul monitoraggio fiscale in termini di maggiori oneri documentali per le attività detenute in tali Paesi esteri, ma anche di sanzioni più pesanti in caso di violazioni e di allungamento dei termini di accertamento (Nota 2)
Attualmente ai fini dell’individuazione dei Paradisi fiscali occorre far riferimento alle seguenti disposizioni (Nota 3):
– DM 4.05.1999 ai fini della residenza delle persone fisiche ex art. 2, comma 2-bis Tuir
– Criteri di cui all’art. 167, comma 4 Tuir in materia di “Controlled foreign companies”o Cfc
– DM 17.03.2017 che individua i Paesi White List
L’elenco contenuto nel DM 4.05.1999 (ALL A) individua gli Stati o territori con regime fiscale privilegiato allo scopo di contrastare la fittizia emigrazione all’estero, per finalità tributarie, di residenti in Italia; per le persone fisiche cancellate dalle anagrafi della popolazione residente e trasferite in tali Paesi, opera infatti la presunzione di residenza in Italia.
Ai fini delle disposizioni in materia di società estere controllate Cfc (Nota 4), dopo le ultime modifiche normative introdotte con la Legge di Stabilità 2016, a partire dal 1° gennaio 2016 si considerano privilegiati gli Stati che, oltre a non far parte dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo, presentano regimi con un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia. L’individuazione di tali Paesi non è, dunque, più contenuta in un elenco ministeriale, ma va effettuata, caso per caso, facendo riferimento al livello di tassazione nominale del Paese estero, attraverso il raffronto tra l’imposizione italiana (aliquota IRES e IRAP) con le imposte sui redditi vigenti nello Stato estero.
Per completare il quadro occorre dar conto dell’elenco di Stati c.d “White list”, ovvero quei Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni con l’Italia e si differenziano da quelli Black List per il fatto che, pur avendo un regime fiscale privilegiato sono aperti allo scambio di informazioni con gli altri stati attraverso la stipula di apposite convenzioni. La lista degli Stati, soggetta a revisione periodica, è stata aggiornata con DM 23.03.2017 (ALL B) a seguito dell’entrata in vigore di varie convenzioni e accordi che lo Stato italiano ha sottoscritto. Tale elenco rileva solo ai fini dell’applicazione delle norme che fanno riferimento a Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni “Stati collaborativi” di cui all’art. 6 D. Lgs 239/1996 (Nota 5).

Da ultimo, sempre sotto il profilo interno, si segnalano le recenti disposizioni introdotte dalla legge di Bilancio 2018 al fine di agevolare la tassazione degli utili che provengono da società partecipate localizzate in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato; si tratta di disposizioni di favore volte a incentivare il rimpatrio degli utili prodotti dalle stesse.
In particolare, il legislatore ha previsto che, con riferimento sia agli utili maturati prima del 2015 e distribuiti nei periodi d’imposta successivi, sia agli utili maturati a decorrere dal 2015, al fine di verificare se il Paese della società distributrice si qualificava come “black list” occorre fare riferimento al periodo di maturazione dei dividendi e non in quello di effettiva distribuzione. Con modifica dell’art. 89, comma 3 Tuir, sono state introdotte, altresì, le seguenti agevolazioni:
• tassazione al 50%, a condizione che sia dimostrata la c.d. “prima esimente” ex art. 167 comma 5 lett. a) del TUIR, anche a seguito di interpello, ovvero l’effettivo svolgimento, da parte del soggetto non residente, di un’attività industriale o commerciale nel mercato dello Stato o territorio di insediamento.
• esenzione ordinaria del 95% per gli utili prodotti quando la controllata non era residente in un Paese black list, anche se al momento della percezione la stessa è considerata residente in un paradiso fiscale, dimostrando l’esimente di cui alla lett. b) del comma 5 dell’art. 167 del TUIR, ossia che dalle partecipazioni non è stato conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati.

Nota 1) Dapprima sono stati individuati i seguenti Paesi non collaborativi: Samoa, Bahrein, Barbados, Grenada, Guam, Corea del Sud, Macao, Isole Marshall, Mongolia, Namibia, Palau, Panama, Saint Lucia, Samoa, Trinidad e Tobago, Tunisia ed Emirati Arabi Uniti). L’Ecofin, con modifica del 13 marzo 2018 ha modificato la lista rimuovendo il Bahrain, le Isole Marshall e Saint Lucia ed includendo le Bahamas, Saint Kitts e Nevis e le Isole Vergini degli Stati Uniti.

Nota 2) Specifiche norme in materia di monitoraggio fiscale sono previste per gli investimenti e le attività detenuti in Paradisi fiscali. Nel caso di mancata indicazione nel quadro RW tali investimenti si presumono, salvo prova contraria, costituiti mediante redditi sottratti a tassazione (art. 12 del DL 78/2009); si tratta di una vera e propria presunzione legale, che tuttavia, come è stato chiarito, non ha effetto retroattivo (Cass. 2.2.2018 n. 2662). Inoltre per le attività detenute in Paesi a fiscalità privilegiata si applica il raddoppio delle sanzioni e dei termini di accertamento.
Nota 3) Ante 2016 il nostro ordinamento prevedeva tre diverse liste di Paesi a fiscalità privilegiata, aggiornate annualmente dal Ministero dell’Economia e dall’Agenzia delle Entrate, e funzionali all’applicazione delle seguenti disposizioni:
– Art. 2 Tuir sulla residenza persone fisiche (DM 4 maggio 1999);
– Art. 167, comma 4 Tuir in materia di “Controlled foreign companies”o Cfc (DM 21 novembre 2001);
– Art. 110, comma 10 Tuir in materia di indeducibilità dei costi (DM 23 gennaio 2002).
La disciplina dell’articolo 110, commi da 10 a 12-bis, del TUIR riguardante il regime di deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con imprese e professionisti residenti ovvero localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata, è stata introdotta nel nostro ordinamento con legge n. 413/1991 e successivamente riformata nel corso del 2015 e 2016.
Inizialmente era prevista la totale indeducibilità dei costi delle transazioni intercorse con controparti estere, salvo dimostrazione di specifiche esimenti (svolgimento attività commerciale effettiva, effettivo interesse economico e concreta esecuzione dell’operazione), e ciò in deroga ai principi generali di cui all’art. 109 del TUIR; era altresì previsto l’obbligo di separata indicazione di tali costi in dichiarazione dei redditi, pena l’indeducibilità degli stessi. I Paesi Black list ai fini dell’applicazione delle disposizioni in commento erano stati inizialmente individuati con DM 23.01.2002. La legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) in attesa del passaggio al sistema “white list”, ha modificato i criteri fissati per l’identificazione di tali Paesi a fiscalità privilegiata, facendo esclusivo riferimento “alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni”; di conseguenza con DM del 27.4.2015 venivano quindi eliminati dalla black list ben 21 Stati o territori che hanno con l’Italia una Convenzione contro le doppie imposizioni o un Accordo per lo scambio di informazioni ai fini fiscali (TIEA) in vigore, tra i quali: Costa Rica, Emirati Arabi, Filippine, Gibilterra, Guernsey, Isole Cayman, Malaysia, Mauritius e Singapore; poi, con DM 18 novembre 2015 è stato eliminato anche Hong Kong, con effetto dal 30.11.2015.
Successivamente, il c.d. decreto internazionalizzazione (D Lgs n. 147/2015), in attuazione della delega fiscale di cui alla legge n. 23/2014, ha poi rivisto in toto la disciplina in esame stabilendo il riconoscimento della deducibilità dei costi black list fino a concorrenza del relativo valore normale (con onere della prova a carico del contribuente); l’eventuale importo eccedente il valore normale del bene o servizio acquistato era ammesso in deduzione a condizione che venisse dimostrato l’effettivo interesse economico, da parte del soggetto residente, a porre in essere l’operazione (c.d. seconda esimente) oltre che l’avvenuta esecuzione della operazione medesima.
Da ultimo, la legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), con decorrenza dal periodo d’imposta successivo al 31 dicembre 2015, ha definitivamente abrogato i commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 TUIR, con conseguente soppressione tout court del trattamento fiscale specifico riservato ai costi derivanti da transazioni commerciali intercorse con controparti estere localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata. La normativa tuttora vigente prevede, quindi, la deducibilità integrale dei costi black list, secondo le regole ordinarie di deducibilità; è venuto meno anche l’obbligo della separata indicazione in dichiarazione dei costi black list. Di conseguenza, dal periodo d’imposta 2016 è stata definitivamente abrogata anche la relativa lista di cui al DM 23.01.2002 come modificata nel tempo.
Nota 4) L’art. 167 c. 1 e 4 del TUIR dispone per i soggetti residenti che detengono partecipazioni di controllo in società o enti esteri localizzati in Paesi esteri che godono di un regime fiscale privilegiato, l’imputazione dei redditi conseguiti dal soggetto estero controllato direttamente al soggetto residente in proporzione alle partecipazioni detenute. Le black list emanate ai sensi dell’art 167 sono variate negli anni a seguito delle modifiche apportate dapprima dalla legge di Stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014) con l’emanazione del DM del 30 marzo 2015 (in GU 11.05.2015) e, poi, dalla legge di Stabilità per il 2016 (legge n. 208/2015). A seguito delle modifiche legislative, il presupposto di residenza o localizzazione in uno Stato con regime fiscale privilegiato, ai fini della normativa sulle CFC, si intende verificato sino al 2015, se lo Stato o territorio estero è ricompreso nella black list di cui al DM 21.11.2001. In particolare, la legge di Stabilità 2015, limitatamente all’esercizio 2015, ha stabilito che, ai fini CFC per “livello di tassazione sensibilmente inferiore” si intende un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia e che si considerano sempre privilegiati i regimi fiscali speciali che consentono un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia, indipendentemente dalla circostanza che tale regime sia previsto da un ordinamento estero che applica un regime generale di imposizione non inferiore al suddetto limite percentuale.
Da ultimo, la Legge di stabilità 2016, dal 2016, ha poi soppresso definitivamente le tre categorie di liste indicate nel D.M. 21 novembre 2001 e ha previsto un sistema di individuazione di tali Paesi fondato esclusivamente sul confronto fra il livello nominale di tassazione estero e quello italiano.
Nota 5) La White list rileva, tra l’altro, ai fini dell’applicazione delle seguenti disposizioni: contributi e premi versati a forme pensionistiche individuali considerati oneri deducibili ex D Lgs 252/2005; tassazione con ritenuta 1.20% a dividendi esteri ex art 27, comma 3ter DPR 600/73; imposta sulle transazioni finanziarie ex art 1 comma 491 L 228/2012 ecc..

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