Il processo di digitalizzazione dell’economia ha modificato il tradizionale rapporto tra impresa e territori o rendendo obsoleti i principi elaborati all’inizio del XX secolo e sui quali ancor oggi si basa l’impianto complessivo del diritto tributario internazionale. Dopo un lungo periodo di gestazione – che ha visto posizioni ed interessi contrapposti (USA vs UE) nonché l’assunzione di numerose iniziative unilaterali – l’8 ottobre 2021 il documento intitolato “Statement on a Two-Pillar Solution to Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy” è confermato da 136 paesi sui 140 appartenenti all’OCSE. Il divieto imposto ai singoli Stati aderenti di introdurre nuove digital taxes su base unilaterale rappresenta la conseguenza più immediata del documento, mentre l’attuazione delle principali disposizioni ivi contenute è prevista entro il 2023.
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I primi studi dell’OCSE sviluppatesi negli anni 90 si concentravano sulle importanti opportunità del mercato digitale. A partire dagli anni 2000, però, iniziarono a essere messe in luce le anomalie e le distorsioni fiscali legate al processo di dematerializzazione dei mercati e di attenuazione della rilevanza dei confini territoriali. Da allora è maturata una crescente consapevolezza circa l’inadeguatezza degli istituti tradizionali di diritto tributario internazionale quali il concetto di “residenza”, di “stabile organizzazione”, di “transfer price” etc.
L’approvazione in data 8 ottobre 2021 del documento “Statement on a Two-Pillar Solution to Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy” (inde cit. “Statement”) introduce nuovi principi a fondamento della potestà impositiva degli Stati. Per tali ragioni Esso segna un momento storico nel processo di formazione del nuovo diritto tributario internazionale a valere sul XXI secolo.
Occorre ricordare che la prima significativa iniziativa su base internazionale che ha avuto quale oggetto quello di analizzare le strategie di erosione delle basi imponibili e di spostamento dei profitti da parte delle digital enterprises – più specificamente da quelle c.d. OTT (“over the top”) o, anzidette, “Big Data” – risale al 2012 con il progetto OCSE/G20 denominato BEPS (Base Erosion and Profit Shifthing). Nel frattempo, si assisteva nell’ambito delle Commissione Europea, e non solo, ad un acceso dibattito nonché al proliferare di iniziative nazionali unilaterali dirette a contenere il problema delle distorsioni fiscali della digital economy. Da ultimo lo Statement in commento scaturisce dal mandato che i paesi membri hanno dato all’OCSE nel 2017 con la finalità di elaborare un modello di tassazione legato all’evoluzione delle digital economy. Al mandato è seguito, il 9 ottobre 2020, il Pillar One and Pillar Two Blueprints Report che ha posto le basi ai contenuti dello Statement.
Ma prima di illustrare i termini del nuovo documento OCSE è utile soffermarsi brevemente sui principali modelli dell’economia digitale secondo la tassonomia delle recenti teorie economiche sull’evoluzione del fenomeno.
Il primo modello (tradizionale) corrisponde al “commercio elettronico” per il quale la rete è lo strumento diretto per la vendita di beni e servizi. Il secondo modello, invece, guarda alle imprese che creano piattaforme in rete per la vendita di beni o servizi da parte di altre imprese o privati. Infine, il terzo modello, più innovativo di tutti, vede l’affermazione di imprese che forniscono servizi gratuiti attraendo un gran numero di utenti (come avviene nei social network o con i browsers) ottenendo in cambio i dati attraverso i relativi accounts. Tali informazioni e dati (“big data”), privi di un particolare rilievo presi singolarmente, assumono un enorme valore nel loro insieme grazie alla elaborazione attraverso algoritmi – circostanza orami ben nota – che consentono di delineare i profili specifici degli utenti registrandone comportamenti, preferenze, abitudini etc. Il fenomeno è noto nella letteratura economica come “capitalismo di sorveglianza” (Surveillance Capitalism) e descrive quel contesto nell’ambito del quale tale capitale di “informazioni e dati” è ceduto ad imprese di ogni genere (ma non solo imprese se pensiamo all’uso potenziale anche in ambito politico) a fronte di corrispettivi economici.
Veniamo quindi alla descrizione del documento che contiene già nel titolo (“Statement on a Two Pillar Solution to Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy”) i chiari riferimenti alla sua impostazione nonché alle sue finalità.
Il provvedimento si basa su due colonne portanti: la prima (pillar one) è diretta a stabilire un nuovo criterio fondante la potestà impositiva di uno Stato, introducendo elementi di novità rispetto al tradizionale assetto fondato sui principi di “residenza” e “territorialità”; il secondo (pillar two) è teso a risolvere il problema della concorrenza fiscali degli stati (race to the bottom), reso sempre più acceso ed incontenibile dalla crescente generazione dei profitti da parte dei beni immateriali (intangibles).
Il pillar One è diretto ad attribuire una potestà impositiva allo Stato nei confronti delle società non residenti che, pur in difetto di un collegamento fisico con detto Stato, vi conseguano una certa quantità di ricavi mediante transazioni effettuate dai propri residenti (c.d. market jurisdiction).
Dal punto di vista soggettivo il pillar One si applica alle grandi multinazionali con un fatturato globale superiore ai 20 miliardi di euro, ed una redditività superiore al 10% del fatturato, operanti in tutti i settori dell’economia (con la sola esclusione delle attività estrattive e di prestazione di servizi finanziari). La soglia del fatturato globale è poi prevista in riduzione a 10 miliardi di euro dopo un periodo, previsto in 7 anni, di positiva implementazione del modello.
I redditi delle imprese non residenti derivanti dalle attività transnazionali che possono essere assoggettati a tassazione sono classificati in due differenti porzioni: i c.d. Amount A e Amount B.
L’Amount A è costituito dal residual profit che è pari al 25% della parte eccedente detto 10% e che sarà redistribuito tra le varie giurisdizioni in base a criteri determinati. E’ infatti prevista l’introduzione di un nexus speciale che consentirà l’allocazione ad una giurisdizione quando l’impresa multinazionale realizzi almeno un milione di euro di ricavi in tale giurisdizione (ma per le giurisdizioni con un PIL inferiore ai 40 miliardi di euro la soglia dei ricavi è fissata a 250 mila euro).
L’Amount B, invece, si basa su una remunerazione fissa per alcune attività base di distribuzione e di marketing che si svolgono fisicamente in una data giurisdizione ed è volto a garantire una valorizzazione in base al principio arm’s lengh di tali attività. Lo stesso sarà però applicabile a tutte le società indipendentemente dalla loro dimensione.
L’implementazione dell’Amount A, che si pone in contrasto con le Convenzioni (Contro la doppia Imposizione) vigenti per effetto dell’introduzione del nuovo principio della Market jurisdiction, anziché prevedere la modifica delle stesse, sarà adottata a mezzo di una nuova Convenzione Multilaterale (MLC) che prevarrà in caso di conflitto con i trattati in vigore.
Il pillar Two, invece, è diretto ad arginare gli arbitraggi nell’allocazione dei redditi e prevede l’applicazione di una forma di imposizione minima con una aliquota effettiva del 15% (Global anti-Base Erosion Rules, GloBE).
In tal caso sono previsti due meccanismi tra loro interconnessi al fine di assicurare l’applicazione della percentuale minima (minimum rate). La Income Inclusion Rule (IIR) che impone una imposta supplementare (top-up tax) alla casa madre in relazione ai profitti assoggettati a una scarsa o nulla tassazione su determinate entità del gruppo; la Undertaxed Payment Rule (UTPR) che si applica quanto la IIR non risulta efficace (o non trova applicazione) in ragione di deduzioni o aggiustamenti previsti dalle diverse giurisdizioni competenti.
Lo Statement in commento prevede inoltre delle forme di deduzione del reddito (Carve-outs) calcolate sulla base dell’entità degli investimenti materiali (tangibles assets) e della spesa per il personale dipendente (payroll) a valere negli Stati in cui la multinazionale opera. Una sora di misura premiale per gli investimenti materiali e l’occupazione.
Il Pillar Two ha un ambito soggettivo di applicazione molto più ampio rispetto al Pillar One poiché sono ricomprese nella minimum tax le aziende che realizzano un reddito globale (ricavi su base consolidata) superiore a 750 milioni di euro. Inoltre, il regolamento prevede che gli Stati dove hanno le sedi le multinazionali interessate alla nuova misura sono liberi di stabilire una soglia dimensionale inferiore.
Un apposito paragrafo dello Statement è poi dedicato alla disciplina delle imposte sui servizi digitali che gli Stati, medio tempore, hanno introdotto unilateralmente (Unilateral Measures). In particolare, è previsto che nessuna Digital Services Tax (o misura similare) potrà essere adottata su iniziativa dei singoli Stati dopo l’8 di ottobre 2021 (data emanazione dello Statement) e sino alla entrata in vigore delle nuove misure (o al più tardi sino al 31/12/2023). Allo stesso modo è previsto che le Digital Service Taxes già in vigore dovranno essere abrogate nell’ambito della Convenzione Multilaterale (MLC). Inoltre, tali misure varranno per tutte le società e non solo per quelle comprese nell’ambito applicativo delle nuove norme (di cui al Pillar One) che, come già evidenziato, prevedono elevate soglie di rilevanza dimensionale (20, poi 10, miliardi di euro). Infine, si osserva come l’inibizione circa l’emissione delle nuove digital taxes è la conseguenza più immediata a livello internazionale dall’approvazione dello Statement in commento.
In ambito interno l’imposta sui servizi digitali (ISD) da ultimo introdotta con la Legge di Bilancio 2020 dovrà pertanto essere abrogata alla luce delle nuove disposizioni OCSE. Peraltro, ciò risolverà in radice le difficoltà applicative del nuovo tributo nella misura in cui si lo stesso si pone in contrasto con i Trattati bilaterali (treaty overriding) e con la stessa carta costituzionale. Il ministero dell’Economia ha poi diffuso un comunicato riguardante un compromesso politico raggiunto tra alcuni paesi europei e gli Stati Uniti che prevede la possibilità di considerare le digital tax, maturata nel periodo transitorio che va dal 1° gennaio 2022 all’entrata in vigore delle nuove misure OCSE (fissate al più tardi al 31 dicembre 2023), a credito di quella dovuta per effetto dell’introduzione del pillar One (per la parte eccedente l’importo dovuto in base alla stessa imposta).
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