Il punto sulla disciplina relativa alla composizione delle crisi da sovraindebitamento: le soluzioni della L. 3/2012 per situazioni debitorie ed impegni personali che divengono non più sopportabili. Una panoramica delle diverse soluzioni e vie d’uscita alla luce della richiamata normativa anche rispetto a situazioni compromesse che, altrimenti, rischiano di costituire definitivi sbarramenti per una qualsiasi ripartenza.
In passato l’Ordinamento ha considerato sufficiente la dotazione di discipline normative per la gestione delle crisi delle imprese, normative peraltro negli ultimi anni profondamente riviste e sempre più arricchite con l’introduzione di istituti e strumenti nuovi con l’obiettivo di fornire risposte adeguate ed aggiornate alle esigenze del mondo toccato dalle crisi delle imprese. Il crescente impatto, anche sul piano sociale, del fenomeno delle difficoltà finanziare di soggetti, per come in seguito si preciserà, non rientranti nell’ambito di applicazione della legge fallimentare (e quindi esclusi anche dai piani attestati e dagli accordi regolati dalla stessa l.f.), ha portato alla introduzione di una disciplina dedicata alla gestione della crisi da sovraindebitamento: la Legge n. 3/2012 come modificata dalla L. 221/2012 di conversione del D.L. 179/2012. Con i limiti delle semplificazioni e soltanto per un inquadramento di massima, consideriamo che la legge n. 3/2012, che introduce procedure per la gestione e risoluzione di dette crisi, sta alla legge fallimentare.
Con riflessi positivi sia dal lato del creditore che, naturalmente del debitore, si passa dalla sola possibilità in precedenza praticabile della azione esecutiva promossa da parte del singolo creditore su specifici beni del debitore, alla possibilità di trattare il sovraindebitamento in un contesto unitario ed omnicomprensivo sia dal lato del patrimonio attivo del debitore sia dal lato del passivo, appunto attraverso una procedura concorsuale. A ciò si aggiunge l’opportunità per il debitore, ricorrendone alcuni presupposti, di vedere la possibilità di conseguire l’obiettivo, all’esito di una delle nuove procedure, di “una volta per tutte” definire il pregresso, beneficiare della esdebitazione, ottenere il cd. fresh start.
Deve dirsi sin d’ora che l’interpretazione e la concreta applicazione della disciplina della gestione della crisi da sovraindebitamento ha dato luogo a dubbi interpretativi ed ha sollevato più questioni facendo emergere spunti per interventi innovativi e correttivi della disciplina. Il Disegno di Legge Delega DDL S. 2681 (approvato dalla Camera dei Deputati ed attualmente all’esame del Senato), ha ad oggetto oltre che la riforma organica delle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare, anche la disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla Legge n. 3/2012 ed offre dunque già ora alcune indicazioni (art. 9 dedicato appunto al sovraindebitamento) in risposta a quanto sopra.
Il sovraindebitamento, così come definito dalla norma, può consistere (a) in una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte tale da determinare una rilevante difficoltà ad adempiere, oppure (b) nella definitiva incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni regolarmente. La prima fattispecie, come chiaro, vale a ricomprendere nel sovraidebitamento anche situazioni nelle quali non si ha deficit patrimoniale; è il caso di patrimoni attivi che, pure capienti (guardando dunque in termini solo quantitativi) rispetto alle obbligazioni assunte, risultano inadeguati rispetto al passivo sotto il profilo dei tempi di esitazione e dunque per mancanza di equilibrata correlazione nei gradi di liquidità / scadenze e, d’altra parte, si sperimenta una impossibilità di proficuamente utilizzare detto patrimonio per accedere al credito per quanto servirebbe.
La normativa in esame risulta applicabile ad una variegata tipologia di soggetti debitori, ambito che per la gran parte viene definito dalla legge in negativo ed in via residuale facendo riferimento ai soggetti esclusi dal novero di quelli interessati dalla legge fallimentare: art. 6 “situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo”. In parte l’ambito di applicazione viene anche individuato in positivo (per la verità ai fini della attribuzione del diritto alla fruizione di una specifica procedura non applicabile alla generalità degli altri soggetti), con il termine “consumatore” : … “il consumatore può anche proporre un piano…..”
La indicata modalità di tipo residuale di individuazione dei soggetti interessati rende possibile una esemplificazione piuttosto articolata guardando alla casistica dei soggetti “non fallibili”. Troviamo dunque che la disciplina si applica all’imprenditore commerciale “sotto soglia ex art. 1 l.f.”, al socio (di società commerciale non sotto soglia) illimitatamente responsabile per il quale non può più essere dichiarato il fallimento in estensione (al riguardo si segnala che l’attuale versione dell’art. 9 del DDL 2681 contempla l’espresso principio che la procedura si applichi tout court al socio illimitatamente responsabile), le cd. start up innovative (per espressa previsione dell’art. 31 del D.L. 179/2012), all’intero ambito dei soggetti esercenti le libere professioni ed in generale attività di lavoro autonomo, ivi compresi dunque oltre che le associazioni professionali, le società, di persone e di capitali, tra professionisti ex L. 183/2011, al garante/responsabile solidale di un terzo, anche impresa commerciale fallibile.
Il consumatore contemplato dall’art. 6 della legge, è il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Oltre che un lavoratore dipendente o pensionato oppure ancora disoccupato, potrebbe anche trattarsi di imprenditore (comunque non fallibile per esempio per i parametri quantitativi di cui all’art. 1 l.f.) oppure ancora libero professionista, il quale presenti però solo obbligazioni che non siano state contratte nell’ambito dello svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale.
La legge contempla tre diverse procedure, tutte percorribili su iniziativa del debitore e tutte che comportano l’intervento dell’Organismo di Composizione della Crisi (l’OCC), figura peculiare della gestione della crisi da sovraindebitamento, chiamato ad offrire al Giudice supporto informativo ed al debitore assistenza tecnica: l’accordo con i debitori, il piano del consumatore, la liquidazione dei beni.
La prima procedura viene attivata dal debitore il quale, con l’ausilio o comunque con l’intervento dell’OCC, elabora una proposta di accordo con i creditori che può avere carattere remissorio, o dilatorio, oppure entrambi i contenuti, e si sostanzia dunque in una ristrutturazione dei debiti e proposta di pagamento in base ad un determinato piano che indichi termini e modalità dei pagamenti promessi, eventuali garanzie disponibili per l’adempimento, e modalità della eventuale liquidazione dell’attivo. Gli elementi di analogia con il concordato preventivo sono evidenti. La proposta di accordo (che deve assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili ex art. 545 c.p.c.), può contemplare una divisione dei creditori in classi con attribuzioni dunque di percentuali di soddisfacimento diverse ed anche prevedere un pagamento non integrale per i creditori privilegiati purchè sia ad essi assicurato il pagamento nella misura almeno pari a quella conseguibile in caso di liquidazione dei beni oggetto del diritto di prelazione; la relativa attestazione, in questa procedura, deve essere resa dall’OCC. Nella prima fase della procedura l’OCC deve predisporre (ai fini dell’allegazione alla proposta di accordo che il debitore depositerà al Giudice Delegato), la propria relazione attestante la veridicità dei dati e dei documenti contenuti nella proposta nonché la fattibilità del piano.
E’ solo a seguito del riscontro da parte del Giudice Delegato del rispetto delle condizioni di ammissibilità previsti dall’art. 7 della proposta di accordo depositata che, con il decreto che fissa l’udienza, il G.D. dispone che sui beni del debitore non possono essere iniziate e proseguite azioni esecutive, disposti sequestri, costituti diritti di prelazione. Al riguardo, si segnala che l’art. 9 del DDL 2681 contempla, anche per le procedure di sovraindebitamento, come criterio direttivo l’introduzione di misure protettive simili a quelle previste nel concordato preventivo, revocabili su istanza dei creditori, o anche d’ufficio in caso di atti in frode ai creditori; ciò che porterebbe ad anticipare la protezione del patrimonio del debitore rispetto alle azioni dei terzi.
La proposta di accordo deve essere approvata dalla maggioranza del 60% dei creditori e, a norma dell’art. 11, il silenzio del creditore viene computato come espressione di voto favorevole. L’accordo approvato dalla maggioranza dei creditori e poi omologato dal Tribunale è vincolante per tutti i creditori.
Il Piano del consumatore costituisce procedura che ricalca quella dell’accordo con i creditori per quanto attiene ai contenuti della soluzione del sovraidebitamento elaborata, ma presenta specificità sue proprie, a partire dalla già anticipata disposizione che ne limita l’applicabilità al solo consumatore (nell’accezione già in precedenza precisata). Ferma restando la possibilità di presentare una proposta di accordo con i creditori, a favore di tale categoria di debitore (lo ricordiamo con obbligazioni contratte al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa e professionale), la legge ha attribuito la facoltà di “affrancarsi” dalle decisioni dei creditori rimettendosi alle determinazioni, sulla base però di un controllo più incisivo rispetto a quanto non avviene nell’altra procedura, da parte dell’Autorità Giudiziaria. Così, per bilanciare l’assenza del voto dei creditori e dunque l’imposizione ad essi di una soluzione che importa un sacrificio delle ragioni creditorie, già nella fase iniziale della procedura è previsto che l’OCC svolga una indagine più approfondita in merito al debitore dovendo rendere una relazione particolareggiata che investe tra l’altro il riscontro sulla meritevolezza del debitore stesso. Ed infatti l’OCC dovrà riferire in merito alle cause dell’indebitamento ed alla diligenza del consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni; le ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte, l’indicazione di atti del debitore impugnati dai creditori. Sullo stesso piano valgono le disposizioni dell’art. 12 bis in tema di omologazione del piano del consumatore secondo le quali per l’omologa del piano, il Giudice deve escludere che il consumatore abbia assunto le obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero ha colposamente determinato il sovraindebitamento anche per mezzo del ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali. Come risulta evidente, è proprio nel riscontro in concreto della assenza di specifiche responsabilità attribuibili al consumatore nella formazione della propria situazione di sovraindebitamento che si gioca la partita della scelta a favore della prima o della seconda procedura. Certamente, la tranquillità di non aver commesso atti in frode ai creditori e la presenza di eventi sfavorevoli di carattere straordinario ed indipendenti dalla volontà del consumatore (si pensi a sopravvenuti impedimenti nella produzione dell’abituale reddito di lavoro, vicende familiari che aumentano gli impegni di spesa correnti, né è prevista l’espressione che hanno determinato impedimenti o difficoltà sopravvenute nel realizzo di parte del proprio patrimonio etc.) consentono di guardare con ottimismo alle possibilità del piano del consumatore; diversamente, non sembra che sia così scontato fornire plausibili giustificazioni in merito alla formazione di una situazione di sovraindebitamento assumendo di aver usato criteri di ragionevolezza e prudenza nell’assumere impegni di spesa in funzione delle proprie sostanze patrimoniali e finanziarie.
Se l’accordo con i creditori ed il piano del consumatore presentano elementi di analogia con il concordato preventivo, la terza procedura prevista per il sovraidebitamento, la liquidazione dei beni, richiama il fallimento. Si tratta di una procedura che, come chiarisce inequivocabilmente la denominazione, è di tipo liquidatorio, interessa la totalità dei beni e diritti del debitore, compresi anche quelli sopravvenuti ed esclusi soltanto quelli aventi carattere personale (i crediti impignorabili ex art. 545 c.p.c., i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, la parte del ricavato dell’attività di lavoro nel limite di quanto necessario per il mantenimento del debitore e della propria famiglia così come indicato dal Giudice), e, come nel caso del fallimento, è gestita da soggetto diverso dal debitore (il liquidatore, che potrebbe essere scelto nella persona dell’OCC) che adotterà modalità di realizzo di tipo competitivo. Naturalmente questa procedura non contempla la prospettazione di nessuna percentuale di soddisfacimento dei creditori (né è prevista l’espressione di un voto). In esito alla liquidazione dei beni, quale che sarà stata la misura del soddisfacimento dei creditori (e comunque purchè in una qualche misura siano stati pagati), il debitore potrà beneficiare dell’esdebitazione, vale a dire della liberazione per i debiti residui non soddisfatti, solo se ricorrono condizioni di meritevolezza del debitore stesso avendo riguardo sia alla condotta pregressa (che ha determinato il sovraindebitamento), sia a quella spiegata nel corso di procedura. Sotto il primo profilo è escluso il beneficio se il sovraindebitamento si è determinato a causa di un ricorso al credito da parte del debitore qualificabile come colposo e sproporzionato rispetto alle proprie capacità, così come è escluso in caso di atti in frode ai creditori o atti sui propri beni finalizzati a favorire alcuni creditori in danno di altri. Sull’altro piano, la meritevolezza è riconosciuta quando, tra l’altro, il debitore ha fattivamente collaborato per il proficuo svolgimento delle operazioni della liquidazione senza determinare ritardi nella procedura ed abbia svolto nei quattro anni successivi alla apertura della procedura un’attività produttiva di reddito adeguata rispetto alla propria posizione o, in ogni caso, si sia adoperato per ricercare una tale occupazione senza rifiutare ingiustificatamente proposte di lavoro.
Come si vede, al di là della semplificazione nella gestione del proprio sovraindebitamento che deriva dal carattere concorsuale ed omnicomprensivo della procedura, per il debitore l’utilità che deriva da questa procedura si concentra sulla possibilità di eventualmente conseguire poi la definitiva liberazione rispetto ai debiti che residuano dopo i pagamenti finanziati con la liquidazione dei beni. Peraltro, l’esdebitazione non opera per alcune categorie di debiti (elencati dall’art 14 terdecies) che comprendono gli obblighi di mantenimento ed alimentari.
Deve segnalarsi infine che la liquidazione dei beni è una procedura che, come le altre due, viene attivata su iniziativa del debitore ma, in più, può conseguire ad una evoluzione non favorevole di una delle altre due procedure richieste dal debitore; è infatti previsto che in ipotesi di annullamento dell’accordo o cessazione degli effetti del piano ed in altri casi di condotta censurabile del debitore come la mancata esecuzione di alcuni pagamenti, il Giudice, con atto che risulta avere anche un carattere sanzionatorio, dispone la conversione dell’accordo o del piano originariamente richiesti dal debitore, nella liquidazione dei beni.