Emergenza Covid 19: misure straordinarie per crisi di impresa e diritto concorsuale

Tra le misure adottate per fronteggiare la crisi sanitaria ve ne sono tre introdotte dal Decreto Liquidità che riguardano la disciplina della crisi delle imprese: viene prevista una temporanea improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento, un allungamento dei termini per le attività previste in esecuzione delle cd. procedure minori in essere ed il rinvio di un anno dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

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In data 8 aprile 2020 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 23/2020 (c.d. Decreto Liquidità) rubricato “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali” e contenente alcune disposizioni straordinarie in materia di crisi di impresa e di diritto concorsuale. In particolare, il Capo II è dedicato alle “Misure urgenti per garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza CODIV-19” e reca, tra le altre, due disposizioni aventi un immediato impatto sulle procedure concorsuali pendenti: l’art. 10 che dichiara l’improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 e l’art. 9 che prevede il differimento dei termini di esecuzione delle procedure di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti in corso. A queste due disposizioni di immediato impatto sul sistema giuridico vigente si affianca un’altra destinata ad avere inevitabili riflessi nel prossimo futuro su tutto l’impianto giuridico in materia di crisi di impresa, vale a dire quella contenuta nell’art. 5, che statuisce il rinvio al primo di settembre del 2021 dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che, invece, avrebbe dovuto diventare operativo già il prossimo 15 agosto.

Di seguito sono passate brevemente in rassegna le tre citate disposizioni.

  1. Improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza

L’articolo 10 del Decreto Liquidità dispone l’improcedibilità di tutti i ricorsi presentati dal 9 marzo al 30 giugno 2020 per la dichiarazione di fallimento (art. 15 L.F.), nonché delle istanze per la dichiarazione dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa (art. 195 L.F.) e all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (art. 3 D.lgs. n. 270/1999) presentate nello stesso periodo.

La norma ha una dichiarata duplice ratio: come indicato nella relazione illustrativa al Decreto, infatti, la disposizione è volta, da un lato, ad impedire temporaneamente il proliferare di nuove procedure fallimentari “in un quadro in cui lo stato di insolvenza può derivare da fattori esogeni e straordinari, con il correlato pericolo di dispersione del patrimonio produttivo, senza alcun correlato vantaggio per i creditori dato che la liquidazione dei beni avverrebbe in un mercato fortemente perturbato” e, dall’altro lato, ad evitare di gravare sugli uffici giudiziari con un “crescente flusso di istanze” di fallimento in un periodo di oggettiva difficoltà di funzionamento.

La misura straordinaria introdotta si distingue per il carattere temporaneo, limitato a circa quattro mesi, e per la valenza generale della sua portata. Come segnalato, infatti, dallo stesso Governo, “alla luce della estrema difficoltà, nella situazione attuale, di subordinare la riconducibilità o meno dello stato di insolvenza all’emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19” l’improcedibilità prevista nella norma è stata estesa a tutte le ipotesi di ricorsi per fallimento. Sono quindi incluse nel novero delle istanze improcedibili anche quelle attinenti al fallimento delle grandi imprese italiane (NOTA 1) così come, per altro verso, sono incluse le istanze di fallimento presentate in proprio dagli imprenditori. Peraltro sulla effettiva portata della norma si sta interrogando la dottrina e presso parte di essa si sta diffondendo la tesi che, alla luce della volontà del Legislatore di varare una norma eccezionale con portata generale, vorrebbe l’estensione della improcedibilità anche alle ipotesi in cui il fallimento è conseguenza di una declaratoria di inammissibilità o di mancata omologabilità del concordato (NOTA 2). Altra parte della dottrina fa invece notare come la norma potrebbe riferirsi ai soli ricorsi depositati dopo il 9 marzo e non anche a quelli depositati precedentemente e ancora in attesa di decisione. Ciò che, invece, è sicuramente escluso dall’ambito applicativo della improcedibilità dettata dalla disposizione è l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 10 del Decreto inerente all’istanza di fallimento presentata dal Pubblico Ministero laddove l’istanza stessa sia accompagnata dalla domanda di emissione di provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento. In questo caso l’obiettivo del Legislatore sembra chiaro: consentire che abbia un seguito il ricorso nelle ipotesi di particolare drammaticità, tali per cui l’istanza è presentata dal Pubblico Ministero e contiene la richiesta di provvedimenti tempestivi, volti ad impedire un deterioramento irreversibile della consistenza patrimoniale del debitore e un pregiudizio evidente delle ragioni dei creditori (NOTA 3).

Al fine di evitare riflessi negativi sulle forme di tutela della par condicio creditorum, il terzo comma dell’art. 10 stabilisce che quando alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento presentati dal 9 marzo al 30 giugno fa seguito la dichiarazione di fallimento, detto periodo in cui ha operato l’improcedibilità “non viene computato nei termini di cui agli articoli 10 e 69 bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”. In altre parole viene sterilizzato il periodo in cui opera la disposizione straordinaria sia per quanto riguarda il computo del termine per la dichiarazione di fallimento delle imprese cessate o cancellate dal registro imprese, (NOTA 4)  sia per quanto riguarda il computo dei termini per la proposizione delle azioni revocatorie regolate dalla Legge Fallimentare (NOTA 5) .

  1. Differimento dei termini di esecuzione delle procedure di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti in corso

L’articolo 9 del Decreto Liquidità introduce misure straordinarie anche per le procedure di concordato preventivo nonché per gli accordi di ristrutturazione in corso poiché, come chiarito nella relazione illustrativa del Decreto Liquidità, l’attuale situazione “genera concreti rischi anche in relazione alla sopravvivenza dei tentativi di soluzione della crisi di impresa alternativa al fallimento promossi in epoca anteriore al palesarsi dell’emergenza epidemiologica”. È più che probabile, infatti, che “procedure di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione aventi concrete possibilità di successo prima dello scoppio della crisi epidemica potrebbero risultare irrimediabilmente compromesse, con ricadute evidenti sulla conservazione di complessi imprenditoriali anche di rilevanti dimensioni”.

Il primo comma dell’art. 9 introduce una proroga di sei mesi dei termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione già omologati aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021. Poiché la proroga opera ex lege non è necessario alcun provvedimento di recepimento così che viene escluso qualsiasi vaglio di merito da parte dei Tribunali anche sui concreti effetti determinati dall’emergenza epidemiologica nel singolo caso concreto al fine del rispetto dei termini originari di adempimento (NOTA 6). Il rilievo è stato formulato dalla dottrina e non manca chi critica apertamente tale disposizione nella convinzione che una indistinta e generalizzata proroga dei termini – peraltro estesa ad un arco temporale considerato lungo – di adempimento di procedure omologate andrà a scaricare sui fornitori, in un periodo certo complicato a livello finanziario, la crisi di liquidità delle imprese già in crisi prima dell’emergenza Covid.

Il secondo comma dell’art. 9, che fa riferimento, invece, ai concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione non ancora omologati alla data del 23 febbraio 2020, stabilisce per tali procedure che il debitore può presentare, entro l’udienza fissata per l’omologa, istanza al Tribunale per la concessione di un termine non superiore a 90 giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato o di un nuovo accordo di ristrutturazione al fine di consentire all’imprenditore di tenere conto dei fattori economici sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemica.

Questa disposizione, a differenza della precedente, non opera ex lege ma rimette la concessione del nuovo termine ad uno specifico provvedimento del Tribunale. A tal fine non viene chiarito se, ed eventualmente quando, il Tribunale possa rigettare la concessione del termine o concedere un termine inferiore a 90 giorni. Ciò che, al contrario, viene espressamente chiarito dalla norma è che il termine previsto non è prorogabile e che l’istanza per la richiesta del termine sarà in ogni caso inammissibile se presentata nell’ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale si è già tenuta l’adunanza dei creditori senza raggiungere le maggioranze previste.  A questo proposito si deve però sottolineare quanto riportato nella relazione illustrativa al Decreto laddove viene detto che per i concordati preventivi nei quali si sia già tenuta l’udienza fissata per l’omologa, ma non sia stata raggiunta la maggioranza richiesta, l’imprenditore potrà “depositare una nuova proposta dopo la dichiarazione di inammissibilità ai sensi dell’art. 179 L.F., sempre che ad essa non abbia fatto seguito la dichiarazione di fallimento”.

Anche se non precisato nella lettera della norma, appare evidente che il nuovo piano o la nuova proposta di accordo debbano essere accompagnati da una nuova attestazione da parte del professionista incaricato (NOTA 7).

Nel caso in cui, sempre con riferimento ai concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione nei quali non si sia ancora tenuta l’udienza fissata per l’omologa, il debitore intenda modificare soltanto i termini di adempimento originariamente previsti nella proposta o nell’accordo, il terzo comma dell’art. 9 del Decreto Liquidità introduce la possibilità di presentare in Tribunale una specifica memoria contenente l’indicazione dei nuovi termini e depositando altresì la documentazione comprovante la necessità della modifica. In ogni caso il differimento dei termini non potrà essere superiore di sei mesi rispetto alle scadenze originarie.

È stata da più parti segnalata la mancanza di un’espressa previsione sull’applicazione temporale di questa disposizione. In proposito una parte della dottrina ha evidenziato che, in assenza di un riferimento specifico, la norma dovrebbe trovare applicazione con riferimento agli stessi procedimenti di cui al comma precedente, ovvero quelli pendenti alla data del 23 febbraio 2020.

Questa norma non prevede una proroga automatica dei termini ma richiede che sia il Tribunale a verificare nel caso concreto la sussistenza dei requisiti per disporre il differimento dei termini richiesto sulla base della memoria depositata dal debitore ma soprattutto della documentazione comprovante la necessità della modifica che, verosimilmente, dovrà essere connessa all’evoluzione della situazione dell’imprenditore determinatasi per effetto dell’epidemia in corso. Oltretutto, nel caso specifico del concordato preventivo, la disposizione richiede al Tribunale, prima di decidere sulla concessione dei nuovi termini, di acquisire anche il parere del Commissario Giudiziale.

Un provvedimento specifico è stato emanato con riferimento ai cosiddetti concordati in bianco; in tale contesto il comma 4 dell’art. 9 prevede infatti la possibilità, per il debitore che abbia già ottenuto una proroga del termine iniziale per la presentazione del piano e della proposta concordataria, di richiedere una ulteriore proroga di detto termine sino a 90 giorni e ciò anche quando sia già stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento. L’obiettivo dichiarato dal Legislatore è quello di conferire quante più chances possibili al salvataggio dell’impresa a condizione, ovviamente, che nell’istanza il debitore indichi gli elementi che rendono necessaria la concessione della proroga con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica.

L’istanza deve essere presentata prima della scadenza della proroga dei termini ordinari.

Se nella fase di pre-concordato è già stato nominato dal Tribunale il Commissario Giudiziale, quest’ultimo sarà tenuto a rilasciare specifico parere sulla richiesta di proroga avanzata dal debitore.

Anche per questa disposizione valgono le considerazioni già esposte prima: in assenza di uno specifico richiamo temporale è logico fare riferimento alle procedure di concordato in bianco già pendenti alla data del 23 febbraio 2020.

Analogamente a quanto previsto per i concordati in bianco, il quinto comma dell’art. 9 prevede nell’ambito degli accordi di ristrutturazione la possibilità, per il debitore che abbia già depositato una domanda di inibitoria nel corso delle trattative per la formalizzazione degli accordi ed abbia già ottenuto la concessione di un termine per il deposito degli accordi definitivi, di presentare una specifica istanza per ottenere una ulteriore proroga. Il Tribunale concederà il beneficio una volta riscontrato che l’istanza presentata si basa su concreti e giustificati motivi connessi all’emergenza sanitaria in corso e che, in ogni caso, continuano a sussistere i presupposti per pervenire ad un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze richieste dalla Legge.

  1. Differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Oltre alle due misure sopra prese in esame, il Decreto Liquidità dispone (art. 5) il rinvio all’ 1 settembre 2021 dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Nelle intenzioni iniziali del Legislatore il nuovo Codice avrebbe dovuto diventare operativo nel nostro ordinamento giuridico il prossimo 15 agosto, quando, plausibilmente, si inizieranno a sentire maggiormente gli effetti economici negativi conseguenti all’attuale emergenza sanitaria. Pertanto questa disposizione del Decreto Liquidità mira, in primo luogo, ad evitare la coesistenza tra uno strumento giuridico nuovo e una situazione straordinaria di sofferenza economica in quanto, come riferito anche nella relazione illustrativa, in momenti di difficoltà generalizzata del mercato “gli operatori più che mai hanno necessità di percepire una stabilità a livello normativo, e di non soffrire le incertezze collegate ad una disciplina in molti punti inedita e necessitante di un approccio innovativo”.

In secondo luogo, la norma è stata emanata tenendo in considerazione quella che, probabilmente, costituisce la novità più rilevante del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, vale a dire le c.d. “procedure di allerta” volte a provocare l’emersione anticipata della crisi di impresa. Al riguardo è stato fatto notare dagli estensori della disposizione che il sistema di allerta è stato concepito per operare in un mercato stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche nell’ambito del quale la maggior parte delle imprese non sia colpita dalla crisi e nel quale, pertanto, sia possibile concentrare gli strumenti introdotti dal Codice sulle imprese che presentino criticità. La relazione illustrativa al decreto chiarisce, infatti, che “in una situazione in cui l’intero tessuto economico mondiale risulta colpito da una gravissima forma di crisi (…) gli indicatori non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli”.

In terzo luogo, il rinvio del nuovo Codice è stato determinato dalla necessità di rispettare quella che è la sua ratio di fondo, vale a dire la volontà di introdurre nel nostro ordinamento un apparato normativo in grado di privilegiare quanto più possibile il salvataggio delle imprese e della loro continuità, limitando il ricorso alla “liquidazione giudiziale” – in un sistema che cancella la parola “fallimento” – alle sole fattispecie residuali nelle quali non sarà possibile adottare concrete alternative. È infatti più che probabile che, in un quadro economico fortemente deteriorato dalla diffusione dell’emergenza sanitaria in corso, verranno a mancare nel medio periodo le risorse finanziarie necessarie per effettuare gli investimenti che si rendessero necessari per procedere a ristrutturazioni delle imprese.

In quarto luogo, non deve essere tralasciato che il rinvio al primo settembre del prossimo anno consentirà anche di “allineare” il Codice alla emananda normativa di attuazione della direttiva UE 1023/2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni.

Si ricorda, peraltro, che il rinvio voluto dalla normativa in commento non va a toccare le modifiche già apportate dal Codice della crisi e dell’insolvenza al codice civile, già entrate in vigore il 16 marzo 2019, come quelle sugli adeguati assetti societari (art. 2086, comma 2, c.c.) e quella inerente alla costituzione dell’Albo dei gestori della crisi e dell’insolvenza (NOTA 8).

NOTA 1 – L’estensione della norma prevede la sola esclusione delle grandi imprese che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, c.d. “decreto Marzano”.

NOTA 2 – Nicotra: Profili di criticità per le misure contro l’emergenza in ambito concorsuale, Eutekne.Info martedì 21 aprile 2020.

NOTA 3 – Maria Rosaria Lenti “Decreto Liquidità: disposizioni in materia di procedure concorsuali, 15 aprile 2020.

NOTA 4 – L’art. 10 L.F. dispone che “Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”.

NOTA 5 – L’art. 69bis L.F. dispone che “Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto”.

NOTA 6 – Filippo Lamanna “Le misure temporanee previste dal Decreto Liquidità per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione” in Il Fallimentarista del 14.04.2020.

NOTA 7 – Si potrebbe addirittura pensare alla opportunità che, anche in assenza di nuovi termini della proposta e del piano, vi sia una nuova attestazione, o comunque  un aggiornamento che confermi che le conclusioni di una attestazione resa ante emergenza sanitaria resti valida anche nel mutato scenario post Covid 19.

NOTA 8 – Michele Bana e Pietro Papaleo: Decreto “liquidità” con disposizioni speciali sulla crisi d’impresa.