Falcidia del debito Iva nelle procedure concorsuali: cade un tabù

Falcidia del debito Iva nelle procedure concorsuali: cade un tabù

E’ venuto meno il divieto di falcidia dell’Iva: in passato la falcidia del debito IVA non era consentita mentre oggi è ammessa nel concordato preventivo. Inoltre si prospettano interessanti evoluzioni sull’ammissibilità della falcidia Iva nell’ambito della crisi di sovra-indebitamento. Di seguito si offre una disanima tecnica dell’intera vicenda che a ben vedere risulta piuttosto articolata tra modifiche normative interne e pronunzie giurisprudenziali sia nazionali che comunitarie.


Si offre di seguito un contributo tecnico in merito all’evoluzione giurisprudenziale e della normativa sulla falcidia IVA che ha portato alla riscrittura dell’art. 182ter L.F. ad opera della Legge di Bilancio 2017 (Legge 11 dicembre 2016, n. 232).
Innanzitutto occorre dar conto di due recenti sentenze delle Sezioni unite della Cassazione, di contenuto identico nella esplicitazione dei motivi ed entrambe emesse l’8 novembre 2016, ma depositate l’una il 27 dicembre 2016 (n. 26988), l’altra il 13 gennaio 2017 (n. 760). Tali sentenze enunciano il principio di diritto secondo cui la regola della infalcidiabilità del credito Iva è inclusa nella disciplina speciale del concordato con transazione fiscale e non è estensibile alla disciplina generale del concordato preventivo senza transazione. Testualmente secondo la Corte “La previsione dell’infalcidiabilità del credito Iva di cui all’art. 182 ter L.F. trova applicazione solo nell’ipotesi di proposta di concordato accompagnato da una transazione fiscale”, in risposta alla richiesta della parte ricorrente di “stabilire se la previsione dell’infalcidiabilità del credito Iva (…) trovi applicazione (…) anche nell’ipotesi di concordato preventivo proposto senza fare ricorso all’istituto disciplinato dall’art. 182ter L.F.”. Era così respinta la posizione della Corte d’appello che, in realtà, si ispirava a precedenti decisioni del giudice di legittimità, secondo le quali “l’art. 182ter, comma 1, L.F. esclude la falcidia concordataria sul capitale dell’Iva con una norma che ha natura sostanziale e carattere eccezionale ed è applicabile a ogni forma di concordato, anche se proposto senza ricorrere all’istituto della transazione fiscale, attenendo allo statuto concorsuale del credito Iva” (Cass., sez. I, 25 giugno 2014, n. 14447; Cass., sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931).
Il discorso delle Sezioni Unite è svolto in termini di logica giuridica difficilmente contestabile: “Processuale o sostanziale che sia, la regola dell’infalcidiabilità del credito Iva è inclusa nella disciplina speciale del concordato preventivo con transazione fiscale. E non si può pretendere di estenderla ai casi regolati dalla disciplina generale del concordato preventivo senza transazione”.
Il punto di partenza della Corte di Cassazione è quello della facoltatività del concordato con transazione fiscale, il quale è “una speciale figura di concordato preventivo”: ciò risulta evidente sia perché viene ovviamente in rilievo solo quando vi siano debiti tributari, sia perché, anche in presenza di debiti tributari, è possibile un concordato preventivo senza transazione fiscale. La conclusione è questa: se il rapporto tra concordato preventivo e concordato con transazione fiscale è un rapporto tra genere e specie, certamente non si può estendere alla fattispecie generale (concordato senza transazione fiscale) la previsione riguardante la fattispecie speciale (concordato con transazione fiscale).
La Corte fa riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia del 7 aprile 2016, n. 546, la quale “ha dichiarato eurocomunitariamente compatibile la falcidiabilità del credito Iva in sede di concordato preventivo” e alla contrapposizione delle disposizioni previste dall’art. 182ter della L.F. vigente all’epoca e recante la disciplina del concordato con transazione fiscale e quelle contenute nell’art. 160 L.F. che regola i presupposti per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo (Nota 1)
In realtà la sentenza della Corte di giustizia proponeva affermazioni più articolate nell’affrontare la risposta al giudice di rinvio, il quale dichiarava di muoversi sulla base della tesi allora sostenuta dalla Cassazione (antecedente le sentenze delle Sezioni unite del 27 dicembre 2016 e del 13 gennaio 2017) del divieto di falcidia per l’Iva posto dall’art. 182ter L.F., ritenuto valido anche per le ipotesi di concordato preventivo non toccate dalla transazione fiscale. Il quesito si presentava così: se sia possibile una lettura degli artt. 162 e 182ter della legge fallimentare italiana tale per cui “sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all’Iva, qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente e all’esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare”.
Due i capisaldi della conclusione:
1) Se il patrimonio del debitore non è sufficiente a rimborsare tutti i crediti, il pagamento parziale di un credito privilegiato può essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che tale credito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore. La procedura di concordato preventivo appare quindi tale da consentire di accertare che, a causa dello stato di insolvenza dell’imprenditore, lo Stato membro interessato non possa recuperare il proprio credito Iva in misura maggiore.
2) La procedura di concordato preventivo offre allo Stato membro interessato la possibilità di votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito Iva qualora non concordi con le conclusioni dell’esperto indipendente.
Ecco allora la risposta al quesito presentato: “L’art. 4, par. 3, TUE, nonché gli artt. 2, 250, par. 1, e 273 della direttiva Iva non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito Iva attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento”.
La discussione sulla falcidiabilità dell’Iva ora brevemente descitta riceve però all’inizio dell’anno un cambiamento significativo, capace di cambiarne i connotati: da gennaio è operativa la riscrittura dell’art. 182ter L.F. dovuta alla legge 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di bilancio). L’espressione “transazione fiscale”, capace di dare senso alla lettura messa in atto dalle due sentenze della Cassazione redatte nel dicembre 2016, sparisce dal testo normativo e dal titolo della rubrica, ora diventato “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”. Così ora inizia l’articolo: “Con il piano di cui all’articolo 160 il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi del presente articolo, può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, se il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d)”.
In definitiva, le due più evidenti novità rispetto al passato sono:
a) la regola secondo cui la falcidia dei crediti tributari è ammissibile solamente in quello che prima era chiamato “concordato preventivo con transazione fiscale”
b) l’eliminazione del divieto di falcidia dell’Iva.
Il nuovo testo dell’art. se l’art. 182ter sebbene si rifaccia alle osservazioni della Corte di Giustizia presenta purtuttavia delle criticità. Uno dei problemi più è se l’art. 182ter così riscritto, parificando il credito erariale per l’Iva a qualsiasi credito privilegiato, sia rispettoso delle disposizioni comunitarie (artt. 2, 250, par. 1, e 273 della direttiva Iva, nonché dell’art. 4, par. 3, TUE), secondo le quali gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell’Iva sul loro territorio (Così Trib. Pistoia, Sez. fallimento, 26 aprile 2017, n. 93791, su cui v. infra).
Altra criticità riguarda la sorte delle liti fiscali pendenti non disciplinate dalla nuova disposizione (G. Andreani e A. Tubelli, Trattamento “speciale” per i crediti tributari nel concordato preventivo, in Il Fisco, n. 5 del 2017).

Da ultimo si dà conto della questione interpretativa dell’ammissibilità della falcidia Iva nell’ambito della crisi di sovraindebitamento, sulla quale, come anticipato vi è un’apertura da parte della giurisprudenza di merito.
Come noto, il crescente impatto, anche sul piano sociale, del fenomeno delle difficoltà finanziarie di soggetti non rientranti nell’ambito di applicazione della legge fallimentare (e quindi esclusi anche dai piani attestati e dagli accordi regolati dalla stessa legge fallimentare) ha portato alla introduzione di una disciplina dedicata alla gestione della crisi da sovraindebitamento: la Legge n. 3 del 2012, modificata dalla Legge n. 221 del 2012. La Legge contempla tre diverse procedure, tutte percorribili su iniziativa del debitore e tutte comportanti l’intervento dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi), figura peculiare della gestione della crisi da sovraindebitamento, chiamato a offrire al giudice supporto informativo e al debitore assistenza tecnica: l’accordo con i creditori, il piano del consumatore, la liquidazione dei beni. Se l’accordo con i creditori e il piano del consumatore presentano elementi di analogia con il concordato preventivo, la terza procedura prevista per il sovraindebitamento, la liquidazione dei beni, richiama il fallimento (v. in generale, L. Mamone, Crisi da sovraindebitamento: le possibili soluzioni …).
Le istanze volte a individuare uno spiraglio per proporre piani di sovraindebitamento con falcidia dell’Iva sembravano infrangersi di fronte all’art. 7 della Legge n. 3 del 2012: “in ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”.
È però degno di nota l’importante tentativo, sorretto da una ricca argomentazione, svolta dal Tribunale di Pistoia, sez. fallimento, nella sentenza n. 93791 del 26 aprile 2017, di seguito riassunta.
Il trattamento dell’IVA nella procedura di sovraindebitamento risente in modo diretto (ovvero senza il velo di una norma analoga a quella del novellato art. 182 ter) della pronuncia della Corte di giustizia e della interpretazione che ne deriva dei principi contenuti negli artt. 2, 250, par.1, e 273 della direttiva IVA nonché dell’art. 4, par. 3, TUE. La regola eurocomunitaria espressa è che gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire il prelievo integrale dell’IVA sul territorio; la regola eurocomunitaria implicita e derivata è che gli Stati membri, ove non sia possibile il prelievo integrale, possono/devono garantire il miglior prelievo per come accertato nell’ambito di un procedimento sottoposto a controllo giurisdizionale e nell’ambito del quale sia garantita la possibilità di voto e di opposizione allo Stato membro. Entrambe le regole sono volte a garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione.
Il giudice nazionale deve far ricorso a tutte le risorse ermeneutiche disponibili al fine di conseguire il risultato voluto dall’ Ordinamento dell’Unione Europea, perché deve interpretare le disposizioni nazionali in conformità al diritto dell’Unione Europea, anche se questo non è direttamente applicabile.
L’ interpretazione conforme alla luce della sentenza del 7 aprile 2016 della Corte di giustizia consente di ritenere che il divieto di falcidia dell’IVA previsto dalla norma sull’ accordo del sovraindebitato faccia implicitamente salva l’ipotesi che la proposta preveda un trattamento migliore rispetto a quello consentito dalla alternativa liquidatoria.
La sentenza in esame propone quindi un “doppio binario” così strutturato:
a) la transazione fiscale sarebbe l’unica via percorribile dal debitore che intendesse proporre una falcidia dell’IVA nei limiti della capienza dei beni e cioè solo dimostrando che la falcidia proposta non è deteriore in relazione alla valutazione dei beni oggetto di prelazione;
b) ma anche nel concordato semplice (senza transazione fiscale) sarebbe sempre ammissibile una falcidia IVA, purché modulata in conformità con i principi comunitari e, dunque, da valutarsi in riferimento al diverso e più severo filtro della convenienza della proposta rispetto alla alternativa liquidatoria, come indicato dalla sentenza della Corte di giustizia UE del 7 aprile 2016.
Secondo il Trib. Pistoia, questa interpretazione riporterebbe la questione IVA all’ interno del rapporto di specialità intercorrente tra la disciplina del concordato semplice e la disciplina del concordato con transazione fiscale così come delineato dalle Sezioni unite della Cassazione del 2016.
Il percorso dell’interpretazione conforme seguito dalla pronuncia pistoiese è stato lodato per il risultato operativo e per la coerenza dell’argomentazione. Ma non è un percorso privo di opacità.
Lasciando da parte ogni altra considerazione, sembra comunque difficile aderire senza riserve alla tesi della “disapplicazione tout court del diritto interno” in contrasto con quello comunitario, sia esso direttamente applicabile o meno. Secondo l’opinione dominante nella giurisprudenza (anche costituzionale) italiana, qualora si ritengano non sufficientemente dettagliate e precise, e come tali non direttamente applicabili, le disposizioni dell’Ordinamento dell’Unione rispetto all’ interpretazione ” intransigente” di una norma italiana, sarebbe obbligo del giudice nazionale di sollevare la questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 10, 11, 117 Cost. e del parametro comunitario interposto (L. D’ Agosto e S. Criscuolo, Il problema della falcidiabilità dell’IVA nelle procedure da sovraindebitamento, in Il Caso.it, 2017).
Da ultimo, è opportuno ricordare che una Proposta di legge contenente “modifiche alla legge 27 gennaio 2012, n. 3, in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento ” è stata presentata alla Camera dei deputati l’8 giugno 2016. L’art. 1, lett. b, n. 12, della Proposta prevede che nel comma 1 dell’art. 7, al secondo periodo, le parole ” all’ imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate” siano soppresse. I relatori rilevano che con le procedure di composizione della crisi è esclusa la falcidia del debito per l’IVA e per le ritenute non versate, ricordano la sentenza n. 546 della Corte di giustizia e denunciano “una evidente disparità di trattamento per violazione dell’ art. 3, comma 1, Cost., tra le imprese commerciali non sotto-soglia, assoggettabili al concordato preventivo, e quelle sotto-soglia, che possono accedere solo alle procedure di sovraindebitamento: concesso alle prime falcidiare l’ IVA e le ritenute, impedito alle seconde”. I relatori stessi dichiarano che la Proposta, nel suo complesso, parte dal disegno di legge n. 3671, recante ” delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi d’ impresa e della insolvenza”. Attualmente un disegno di legge delega DDL S 2681 è all’esame del Senato dopo essere stato approvato dalla Camera dei Deputati: ha ad oggetto non solo la riforma organica delle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare, ma anche la disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento.

(Nota 1) Si ricorda che l’art. 160 L.F. prevede la possibilità di “trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse”. Secondo l’art. 182ter “con il piano di cui all’art. 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea”. Significativa soprattutto l’aggiunta: “con riguardo all’imposta sul valore aggiunto e alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”.