Il nuovo concordato preventivo tra continuità aziendale e liquidazione

Il nuovo concordato preventivo tra continuità aziendale e liquidazione

Il “codice della crisi e dell’insolvenza” (d.lgs. n. 14 del 2019) riordina con modifiche l’istituto del concordato preventivo (artt. da 84 a 120). L’art. 84, introduttivo del tema, mantiene la distinzione tra “concordato con continuità aziendale” e “concordato liquidatorio”. Ma l’impostazione è chiara: il concordato in continuità, seguendo la logica del codice, valorizza la finalizzazione al recupero della capacità dell’impresa di rientrare, ristrutturata e risanata, nel mercato e giustifica l’inserimento del criterio della “prevalenza” (“i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale”); il concordato liquidatorio, che richiede l’”apporto di risorse esterne” ovvero la presenza di “risorse aggiuntive” rispetto all’”attivo ricavabile dalla liquidazione giudiziale”, è confinato in spazi ristrettissimi.

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Premessa

Il concordato preventivo individua una procedura risalente alla disciplina della legge fallimentare (L.F., artt. 160 – 186) e più volte riformata in tempi recenti: con il d.l. 14.03.2005, n. 35, convertito in Legge 14.05.2005, n. 80; con il d.lgs. 12.09.2007, n.169; con il d.l. 22.06.2012, n. 83, convertito dalla legge 7.08.2012, n. 134. Il quadro complessivo emergente dalla legislazione può essere così, schematicamente, riassunto: l’imprenditore che si trova in stato di difficoltà economica può evitare che la crisi sfoci in fallimento regolando i propri rapporti con i creditori mediante un concordato preventivo; se la crisi è temporanea e reversibile, la finalità del concordato è di superare tale situazione attraverso il risanamento economico e finanziario dell’impresa; se la crisi è definitiva e irreversibile il concordato preventivo può essere attuato prima che sia dichiarato il fallimento e serve ad evitare lo stesso. Sotto tale profilo si differenzia perciò nettamente dal concordato fallimentare. Il concordato preventivo offre all’imprenditore insolvente il notevole vantaggio di evitare le conseguenze patrimoniali, personali e penali del fallimento (NOTA 1).

Chi ha guardato all’evoluzione della disciplina ha notato che essa è caratterizzata dalla presenza di due elementi imprescindibili: da un lato l’accordo tra la maggioranza dei creditori e il debitore, che attribuisce alla vicenda un significato di progressiva “privatizzazione”; dall’altro, la riduzione, ma non l’eliminazione, degli spazi di intervento riconosciuti agli organi della procedura (NOTA 2).

In realtà la situazione presentava elementi di complicazione, cambiamenti di prospettiva incapaci di coordinare aspetti giuridici e aspetti economici, lacune da riempire, difficoltà di dare coerenza alla molteplicità delle istanze emergenti. D’altro canto, diventava uno dei problemi principali fronteggiare domande di concordato “abusive”, che coprivano con il riferimento alla “continuità aziendale” il solo scopo dilatorio (NOTA 3).

Il concordato preventivo “presentava tutti i propri limiti e le cicatrici dovute a interventi di settore”, che rendevano necessario un intervento decisivo e sistematico di rivisitazione integrale della materia, capace di attribuire organicità alla disciplina (NOTA 4).

L’intervento è stato realizzato nel “codice della crisi e dell’insolvenza” (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), che cancella dal vocabolario giuridico l’espressione “fallimento” e propone un progetto di disciplina sulla crisi d’impresa incentrato sul concetto di “continuità aziendale”. Il compito è complesso ma sembra ovvio immaginare che il nuovo legislatore si proponga, in materia di concordato preventivo, di assicurare l’effettività della dimensione oggettiva della continuità.

L’art. 84 del codice della crisi e dell’insolvenza: le finalità del concordato preventivo

Il primo comma dell’art. 84 del codice della crisi e dell’insolvenza recita: “Con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio”.

La norma di esordio della disciplina prevista dal codice pone in primo piano a) la tutela dell’interesse dei creditori come fine primario dell’istituto e b) la possibilità di continuare a distinguere un “concordato liquidatorio” da un “concordato con continuità aziendale”.

  1. Nessuno può dubitare che lo strumento concordatario sia finalizzato al soddisfacimento dei creditori. L’interesse dei creditori non è però esclusivo: il comma 2 dell’art. 84 dettato a proposito del concordato in continuità diretta ma richiamato per la continuità indiretta parla di “interesse prioritario” dei creditori, cui è aggiunto quello “dell’imprenditore e dei soci”. Sembra d’altro canto non privo di fondamento il rilievo secondo cui la rilevanza attribuita dal secondo e dal terzo comma dell’art. 84, intitolato – si noti – “finalità del concordato preventivo”, alla tutela dei posti di lavoro (v. infra) potrebbe condurre ad “annoverare fra gli interessi protetti dalla disciplina novellata, seppur in via non prioritaria, anche il mantenimento dei livelli occupazionali (NOTA 5).
  2. Concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio sembrano posti in paritetica alternativa dal comma 1 dell’art. 84. Ma è evidente l’apprezzamento preferenziale del legislatore per il concordato con continuità aziendale: una soluzione della crisi che consenta la salvaguardia dell’azienda e la tutela dei posti di lavoro si inserisce perfettamente nella logica complessiva che anima il codice, con la quale devono misurarsi le norme che si ispirano ai cardini del diritto concorsuale (NOTA 6).

Addirittura il codice prevede, accanto alla continuità diretta, una continuità indiretta, a seconda che sia condotta dallo stesso imprenditore che ha presentato la domanda di concordato ovvero la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività avvenga da parte di “soggetto diverso dal debitore”. Con riferimento alla “continuità diretta”, ma riferibile, “se compatibile”, a quella indiretta, il comma 2 dell’art. 84 richiede che il piano proposto dall’imprenditore preveda che l’attività di impresa sia funzionale ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci. L’indicazione si muove nel segno indicato dalla relazione illustrativa al codice, che intende valorizzare la nuova disciplina perché “finalizzata al recupero della capacità dell’impresa di rientrare, ristrutturata e risanata, nel mercato”. Si spiega così l’inserimento del “criterio della prevalenza”: “Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino” (art. 84, co. 3).

Durante i lavori preparatori svolti nell’ambito della Commissione Rordorf si è lungamente disquisito sulla opportunità di prevedere la fattispecie del “concordato liquidatorio”. La scelta finale è stata di prevedere la fattispecie, ma con la fissazione di limiti estremamente stringenti che ne denunciano la residualità: il concordato liquidatorio diventa una alternativa alla liquidazione giudiziale (l’odierna “liquidazione fallimentare”) non meramente sovrapponibile nei risultati ad essa. Difatti l’ammissibilità è subordinata non solo all’apporto di risorse esterne rispetto al patrimonio del debitore, ma anche al fatto che tale apporto sia idoneo a incrementare di almeno il 10% il soddisfacimento dei creditori chirografari. Tale soddisfacimento non può essere in ogni caso inferiore al 20% dell’ammontare complessivo del credito chirografario. Sembra inevitabile riconoscere che nell’ottica proposta dal codice il “concordato liquidatorio” ha un senso solo se offre un quid pluris rispetto alla mera liquidazione del patrimonio. Le spese di gestione della liquidazione concordataria sono necessariamente maggiori di quelle che caratterizzano la liquidazione giudiziale (l’odierna “liquidazione fallimentare”). La prospettiva del legislatore sembra guardare alla liquidazione giudiziale come all’unico istituto al quale rivolgersi in assenza di una proposta di “concordato in continuità”, a meno che non sia possibile configurare l’ipotesi migliorativa rigidamente delineata a proposito del concordato liquidatorio (NOTA 7).

Il “concordato in continuità” e il “concordato liquidatorio”       

A proposito del “concordato in continuità”, abbiamo già fatto cenno al comma 3 dell’art. 84, là dove individua il criterio della prevalenza: il concordato è ammissibile esclusivamente nei casi in cui la soddisfazione dei creditori è “in misura prevalente” imputabile al ricavato nascente “dalla continuità aziendale, diretta o indiretta”. La “cessione del magazzino“, come appartenente alla “liquidazione di beni non strategici” di cui parla la relazione illustrativa, non incide sulla natura del concordato ed è riferibile a quel “ricavato” (NOTA 8).

La logica del sistema, di favorire la continuità, si accompagna all’idea di fondo, evidenziata dalla relazione, di una continuità aziendale funzionalizzata al soddisfacimento dell’interesse “prioritario del creditore” (NOTA 9). Sembra, allora, non priva di rilievo la critica secondo cui l’applicazione della regola di prevalenza economica fondata su dati quantitativi rischia di dimenticare quali sono le intenzioni del proponente e come si presenta il dato fattuale della oggettiva continuità (NOTA 10).

È comunque da notare che la prevalenza si ritiene – quasi per una sorta di presunzione assoluta, cioè non aperta alla possibilità di prova contraria – “sempre sussistente” in base a “ricavi attesi”, che prescindono da un calcolo meramente quantitativo (NOTA 11).

Da quanto abbiamo accennato in precedenza, emerge che potrebbe generare equivoci una definizione “in negativo” del “concordato liquidatorio” semplicemente configurato come un concordato preventivo che non presenta le condizioni stabilite per il “concordato in continuità”. L’alternativa al “concordato in continuità” è la liquidazione giudiziale. Il codice della crisi e dell’insolvenza in parte specifica, in parte supera le indicazioni progettate dalla legge delega (NOTA 12) e richiede un “apporto di risorse esterne” che incrementi “di almeno il 10%” il soddisfacimento dei creditori chirografari; quest’ultimo, comunque, non può essere inferiore “al 20% dell’ammontare complessivo del credito chirografario”: perché ci sia un “concordato liquidatorio” occorrono “risorse aggiuntive” rispetto all’”attivo ricavabile dalla liquidazione giudiziale” (NOTA 13).

I “requisiti” per accedere alla procedura di concordato

L’art. 85, co. 1, del codice della crisi e dell’insolvenza indica a) il requisito soggettivo e b) il requisito oggettivo per accedere alla procedura di concordato. Questa la formula usata: “per proporre il concordato l’imprenditore, soggetto a liquidazione giudiziale ai sensi dell’art. 121, deve trovarsi in stato di crisi o di insolvenza”.

  1. Il richiamo all’art. 121 del codice impone di escludere dalla procedura di concordato preventivo le imprese agricole, perché “non commerciali”, e, tra le imprese commerciali, non le “piccole imprese” ma le cosiddette “imprese minori” descritte alla lettera d dell’art. 2, co. 1 (NOTA 14). È però da segnalare l’istituto del “concordato minore”, che anche per l’”impresa minore” e l’”impresa agricola” prevede quale soluzione preferenziale quella che garantisce la prosecuzione dell’attività imprenditoriale invece della soluzione liquidatoria (art. 74 e seg. del codice) e ha modalità per certi versi affini ma non poche differenze rispetto al concordato preventivo.

Al solo debitore, unico soggetto legittimato, spetta di richiedere l’accesso alla procedura di concordato preventivo. I creditori possono presentare proposte concorrenti, ma l’avvio è una scelta esclusiva del debitore (NOTA 15).

  1. A proposito dello “stato di crisi o di insolvenza” l’impatto della “novella” è molto rilevante, perché interviene su una situazione a dir poco confusa. L’art. 160 della L.F., nella sua attuale formulazione, prevede al comma 1 che lo stato di crisi sia presupposto per l’accesso al concordato preventivo e precisa che “ai fini di cui al comma 1” per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza. La nozione omnicomprensiva, in cui la nozione di “insolvenza” si presenta come sottocategoria del concetto di “crisi”, si spezza in un binomio: il d.lgs. n. 14 (“codice della crisi e dell’insolvenza”) ha provveduto alla definizione di crisi attraverso la considerazione della inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici rispetto alla regolare soddisfazione delle obbligazioni pianificate (art. 2 lett. a del codice). L’insolvenza è invece caratterizzata da “inadempimenti” e da altri “fatti esteriori” dai quali risulti che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (art. 2, lett. b del codice) (NOTA 16). L’impostazione è chiara: alla base della “crisi” sta un giudizio prognostico di possibilità di “insolvenza”; quest’ultima si manifesta, invece, con fatti dimostrativi dell’incapacità del debitore di provvedere a regolari adempimenti. È chiaro che porre l’accento sulla “crisi” così identificata propone, per il concordato preventivo come per il nuovo istituto dell’allerta, la necessità dell’anticipazione dell’intervento concorsuale e la preferenza per scelte dettate dall’esigenza di prosecuzione dell’attività di impresa.

Il piano di concordato

L’avvio della procedura concordataria si fonda sul collegamento tra proposta e piano di concordato. Il collegamento è chiaramente espresso dal confronto tra art. 85 e art. 87 del codice della crisi e dell’insolvenza. L’art. 85, co. 2, dichiara che “la proposta deve fondarsi su un piano fattibile”. L’art. 87 indica la necessità di “un piano costituente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta” e subito affiancato dalla proposta di concordato e dalla documentazione di cui all’art. 39 (NOTA 17) e provvede anche a individuare il contenuto obbligatorio del piano (NOTA 18). I primi lettori della norma richiamano i principi per la redazione dei piani di risanamento approvati dal CNDCEC nel settembre 2014 (NOTA 19). La situazione è di immediata evidenza: il debitore presenta il progetto per il risanamento dello stato di crisi; i creditori chiamati al voto devono possedere tutti gli elementi necessari e le informazioni per esprimersi con il consenso o il dissenso sulla proposta. La normativa parla di “un piano fattibile” (art. 85) e richiede una analitica descrizione delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta (art. 87). Centrale è la disposizione secondo cui in caso di concordato in continuità la relazione del professionista indipendente deve attestare che la prosecuzione della attività di impresa “è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”, che rimane il fine “primario” della vicenda.

  1. La “fattibilità” del piano, insieme alla veridicità dei dati, richiede l’attestazione di un professionista indipendente, la cui relazione “accompagna” la proposta. L’attestazione di fattibilità riguarda sia il profilo giuridico (conformità alle norme sul concordato e alle altre applicabili alla vicenda), sia il profilo economico (valutazione prognostica dei risultati prospettati). La valutazione del professionista non può non essere aleatoria, ma deve essere fondata su argomentazioni approfondite, logiche e coerenti. Fino a oggi una questione controversa ha riguardato l’estensione del potere di controllo del Tribunale: controllo solo sulla fattibilità giuridica o anche sulla fattibilità economica? E in quale misura? Dopo il codice, è messo in luce che l’art. 47 stabilisce che il Tribunale, al fine della decisione in ordine alla apertura, debba verificare la “fattibilità economica del piano” (NOTA 20). Sembra comunque confermato che il merito relativo al giudizio di fattibilità è riservato ai creditori.
  2. La stesura del piano di concordato preventivo, con il suo contenuto analitico, si specifica con modalità diverse a seconda che sia prevista una continuità “diretta” o “indiretta”; ha ovviamente caratteristiche peculiari se il concordato è “liquidatorio”. I punti in esame non presentano divergenze significative rispetto al passato. Un profilo del tutto nuovo riguarda la richiesta di indicare nel piano quali iniziative l’imprenditore intende adottare qualora la situazione futura dovesse registrare una divergenza tra i risultati previsti nel piano e quelli raggiunti in concreto. Riceve qualche specificazione normativa la possibilità – facoltà, non obbligo – di raggruppare i creditori in classi contraddistinte da omogeneità giuridica e convergenti interessi economici

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Il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza ha cercato di rivisitare la materia del concordato preventivo integralmente, con il fine di predisporre una disciplina fornita di sistematica organicità, intervenendo su una normativa farraginosa e frammentaria (NOTA 21). Gli aspetti che abbiamo segnalato rappresentano i segnali più significativi dell’impostazione prescelta dal codice, che però deve fare i conti con una miriade di problemi teorici e pratici i quali impongono di misurarsi con tesi di politica economica contrastanti. I profili procedurali fanno emergere importanti diversità di lettura applicativa e interpretativa. Molti ritengono che l’efficacia della riforma dipenda dalla capacità di sviluppo nel paese della “desiderata cultura anticipatoria della crisi”; non pochi confidano in una sorta di “capacità di rammendo” affidata al prossimo previsto intervento del legislatore delegato (NOTA 22); alcuni giudicano negativamente un intervento normativo che ha disposizioni troppo articolate e diffuse sul concordato in continuità e riduce ai minimi termini gli spazi per il concordato liquidatorio.

 

NOTA 1 – Cfr. per tutti, G.F. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, sesta ediz. Utet, Torino, 2015, pag. 625 e seg.

NOTA 2 – A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese (Le procedure concorsuali) quarta ediz., Il Mulino, Bologna, 2017, pag. 345 e seg.

NOTA 3 – Significative sono le parole di una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 19.11.2018, n. 29742): “Non può (…) ricondursi nell’alveo della continuità aziendale una realtà ormai esangue, incapace di funzionare e tenuta in vita solo per essere ceduta”. E ancora: “La continuità aziendale non può essere separata dalla vitalità dell’impresa intesa in senso atomistico”.

NOTA 4 – A. Danoni e G. Acciaro, Una nuova disciplina per un uso importante del concordato preventivo, pubblicazione del Il Sole24ore, 2019, pag 6 e seg.

NOTA 5 – S. Ambrosini, Le “finalità” del concordato preventivo, Ediz. Il Sole24ore, 2019, pag 16.

NOTA 6 – Il privilegio attribuito al concordato in continuità rispetto a quello liquidatorio è solo un capitolo offerto dalla lettura della nuova normativa italiana per individuare, già sul piano meramente formale, il rispetto delle linee guida europee e il ruolo centrale attribuito alla continuità aziendale nell’ottica di preservare l’organizzazione dell’impresa nella prosecuzione dell’attività, come maggiore garanzia patrimoniale per i creditori anche attraverso il risanamento e il trasferimento ai terzi.

NOTA 7 – Cfr, tra gli altri, S. Giugni, Il concordato preventivo alla luce del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in La gestione straordinaria delle imprese 3/2019, pag 130.

NOTA 8 – L’art. 84, comma 2, prevede la possibilità di continuità indiretta “in caso sia prevista la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto stipulato anche anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, conferimento dell’azienda in una  o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ed è previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall’omologazione.

NOTA 9 – “La prospettiva del miglior soddisfacimento dei creditori è la condizione che giustifica il rischio che gli stessi corrono quando è prevista la continuità aziendale”.

NOTA 10 – Viene proposto l’esempio delle strategie adottate nell’ambito del caso Parmalat, in cui la prosecuzione dell’attività principale fu garantita dai proventi della liquidazione dei beni degradati a “non strumentali”. Severa la conclusione: “Il sistema della comparazione dei flussi economici rischia di far rientrare nell’ambito della disciplina del concordato liquidatorio piani concordatari che invece producono il risultato della prosecuzione aziendale mediante una prevalente attività liquidatoria, avente però la finalità di autofinanziare la continuazione delle residue attività d’impresa”: così A. Petrosillo, Concordato in continuità, normativa a confronto, Ediz. Il Sole24ore, 2019, pag. 112.

NOTA 11 – Art. 84, comma 3: “La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso. A ciascun creditore deve essere assicurata un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile. Tale utilità può anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”.

NOTA  12 – L’art. 6, comma 1, lett. a) si limitava a richiedere l’apporto di “risorse esterne” che aumentassero “in misura apprezzabile” la soddisfazione dei creditori e l’assicurazione del pagamento “di almeno il 20% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari”.

NOTA 13 – Sono, queste, espressioni estratte dalla Relazione introduttiva. Una prima lettura ha evidenziato che la ricostruzione quantitativa è richiesta al debitore in via obbligatoria e anticipata al momento del piano concordatario, dove dovranno essere indicate “le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, con indicazione di quelle eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura giudiziale e delle prospettive di recupero” (art. 87, comma 1, lett. a) del codice della crisi e dell’insolvenza): cfr. R. Gallina, I principi generali del concordato liquidatorio, ediz. Il Sole24ore, 2019, pag. 91.

NOTA 14 – Art. 121, comma 1: “Le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), e che siano in stato di insolvenza”.

NOTA 15 – La “novella” conferma, con qualche modifica, l’impostazione che consente al creditore di formulare “proposte concorrenti”. Così si esprime l’art. 90: “Colui o coloro che, anche per effetto di acquisti successivi alla domanda di concordato rappresentano almeno il 10% dei creditori risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore, possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano non oltre 30 giorni prima della data iniziale stabilita per la votazione dei creditori”. Si instaura così una procedura piuttosto complessa, il cui obiettivo è realizzare un equilibrio fra “la libertà del debitore nel formulare il piano di concordato” e “l’interesse dei creditori concorsuali alla miglior gestione e liquidazione del patrimonio possibili, in riferimento alla struttura di piano proposta dal debitore, rispetto a quelle che sono le opportunità presenti nel sistema economico”: cfr. B. Bartoli, Le proposte e le offerte concorrenti, ediz. Il Sole24ore, 2019, pag. 59. Nella stessa logica si inserisce l’istituto delle “offerte concorrenti” di cui all’art. 91, quando al piano concorsuale sia associata un’offerta irrevocabile di soggetto terzo avente a oggetto il trasferimento a suo favore a titolo oneroso di beni dell’azienda o di uno o più rami della stessa o di specifici beni: “Se pervengono manifestazioni d’interesse”, può essere disposta con decreto del Tribunale, o del Giudice da esso delegato, “l’apertura della procedura competitiva” (art. 91, comma 3).

NOTA 16 – Ma il codice stesso, quando provvede a enumerare “indicatori di crisi” o “indici significativi” in materia di allerta, incorre in qualche contraddizione rispetto alle definizioni prospettate.

NOTA 17 – Così l’art. 39 individua “gli obblighi del debitore che chiede l’accesso a una procedura regolatrice della crisi o dell’insolvenza”: “Il debitore che chiede l’accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza deposita presso il tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l’intera esistenza dell’impresa o dell’attività economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata, i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi. Deve inoltre depositare, anche in formato digitale, una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attività, l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l’indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto, un’idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi.

Il debitore deve depositare una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore”.

NOTA 18 – Secondo l’art. 87, il piano di concordato deve indicare: “a) le cause della crisi; b) la definizione delle strategie d’intervento e, in caso di concordato in continuità, i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria; c) gli apporti di finanza nuova, se previsti; d) le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, con indicazione di quelle eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e delle prospettive di recupero; e) i tempi delle attività da compiersi, nonché le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli raggiunti; f) in caso di continuità aziendale, le ragioni per le quali questa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori; g) ove sia prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa in forma diretta, un’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”.

NOTA 19 – “Il fine principale del piano è quello di far convergere il consenso degli stakeholder verso la deliberata azione di risanamento affinché aderiscano al progetto, contribuendo con risorse operative o finanziarie ovvero con l’adesione ai sacrifici richiesti. Il piano rappresenta anche una guida per l’azione futura, sia per il management, sia per gli interlocutori coinvolti. Il piano deve consentire a tutti i soggetti interessati di confrontare gli esiti attesi con i risultati consuntivi, onde permettere in caso di scostamenti, rimodulazioni delle azioni ancora da intraprendere o cambiamenti nel piano stesso. In questo senso, il piano è un documento che presuppone una comunicazione rivolta sia verso l’ambito interno, sia verso soggetti esterni, alcuni dei quali possono non avere avuto precedenti rapporti con l’impresa. Tale profilo implica necessaria attenzione agli aspetti di completezza, comprensibilità e chiarezza”.

NOTA 20 – Secondo l’art. 47, comma 1, il decreto è disposto “verificata l’ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano di acquisto”.

NOTA 21 – Il corpus principale è contenuto nel Titolo IV, Capo III, Sezioni I, II, III, IV, V e VI (dall’art. 84 all’art. 120.

NOTA 22 – La legge 8 marzo 2019 n. 20, pubblicata lo scorso 4 aprile, contiene una delega al governo per adottare, nell’arco di due anni, “disposizioni integrative e correttive” dei decreti legislativi attuativi “della delega per la riforma della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza”.