La lentezza dello stato Italiano in materia di crediti fiscali fiscali si sta traducendo in un uso sempre più diffuso dell’istituto dell’accollo dei debiti tributari; il fenomeno vede altresì la diffusione di società specializzate nel fare da intermediari tra debitori e creditori di imposta.
L’istutito dell’accollo del debito tributario, dopo un lungo periodo di applicazione in assenza di una specifica disciplina, trova oggi una espressa previsione normativa nell’ art. 8, comma 2 Legge 212/2000 (Statuto del contribuente). L’operazione reca vantaggi sia per il contribuente accollato che per il soggetto accollante. Da una parte, per l’accollante che vanta dei crediti fiscali, la convenienza consiste nella possibilità di monetizzare in tempi brevi tali crediti e sopperire alla lentezza dei rimborsi da parte del sistema; dall’altro lato, il contribuente accollato (debitore d’imposta) ha la possibilità di ottenere uno sconto sulle imposte da versare sulla base della convenzione con il creditore d’imposta.
La questione principale da evidenziare, tuttavia, è che nell’accollo dei debiti fiscali, in deroga alla disciplina generale dell’istitito dell’accollo ai sensi dell’art. 1273 del Codice Civile e per espressa previsione della sopra richimata norma dello statuto del contribuente, non vi è mai la liberazione del debitore principale, ancorché sia intervenuto un accordo in tale senso tra le parti.
In capo al debitore d’imposta (soggetto accollato) esiste quindi il rischio di non liberarsi dei debiti fiscali e di rimanere obbligato in solido con l’accollante anche laddove, come solitamente succede nella prassi, il pagamento del “corrispettivo” tra le parti sia subordinato al ricevimento della quietanza di pagamento in F24 a mezzo compensazione.
Rimane quindi il rischio di vedersi contestare anche a distanza di anni il mancato versamento, ad esempio per indebita compensazione, in qualità di soggetto coobbligato in solido. E’ ipotizzabile che il rischio in oggetto possa essere coperto da apposita polizza fideiussoria, dei cui costi, tuttavia, occorrerà tener conto nel valutare la convenienza dell’operazione.
Prima dell’introduzione di tale disposizione la giurisprudenza della Cassazione (sentenza 3608 del 28.03.1995) aveva riconosciuto in via interpretativa l’ammissibilità di tali accordi; di contro parte della dottrina li riteneva illegittimi per possibile contrasto con il principio delle capacità contributiva.
Oggi la legittimatà dell’accollo del debito tributario non è più in discussione tuttavia occorre rilevare come non siano state emanate norme di attuazione per la regolamentazione della materia. In mancanza di una prassi ammnistrativa, sembra doversi considerare il rischio – più o meno accentuato in base alla peculiarità degli accordi tra le parti in causa – che l’operazione possa essere contestata dall’Amministrazione finanziaria per profili elusività, con conseguente disconoscimento dei vantaggi fiscali, in forza della norma sull’abuso del diritto di cui all’art. 10 bis Legge 212/2000 (Statuto del contribuente). A ben vedere, tuttavia, indipendentemente dagli accordi tra le parti interessate, non può mai essere individuato un profilo di danno per l’erario, che attraverso la compenzazione incassa interamente i propri crediti, mantiene ogni prerogativa di controllo e verifica, e semmai estende la propria garanzia attraverso la responsabilità solidale dei soggetti partecipanti all’accordo.