Le monete virtuali (prima tra tutte il bitcoin) sono strumenti di pagamento basati su tecnologie digitali che hanno avuto un enorme sviluppo negli ultimi anni. Una caratteristica delle monete virtuali è la loro grande volatilità espressa sui mercati non regolamentati. A testimonianza del fatto che il fenomeno è sempre più diffuso anche in Italia vi sono i recenti interventi dell’Agenzia delle Entrate diretti a fornire interpretazioni sul regime tributario di tali strumenti.
La Corte di Giustizia UE ha fornito la seguente definizione del fenomeno, che si richiama ad una relazione della Banca Centrale Europea del 2012: “una valuta virtuale può essere definita come un tipo di moneta digitale, non regolamentata, emessa e controllata dai suoi sviluppatori e utilizzata ed accettata tra i membri di una specifica comunità virtuale. La valuta virtuale bitcoin fa parte delle valute virtuali a flusso bidirezionale, che gli utenti possono acquistare o vendere in base ai tassi di cambio. Tali valute virtuali sono simili ad ogni altra valuta convertibile per quanto riguarda il loro uso nel mondo reale. Esse consentono l’acquisto di beni e servizi sia reali che virtuali. Le valute virtuali sono diverse dalla moneta elettronica ….in quanto a differenza da tale moneta, nel caso delle valute virtuali i fondi non sono espressi nell’unità di calcolo tradizionale, ad esempio l’Euro, ma nell’unità di calcolo virtuale, ad esempio il bitcoin”.
I Bitcoin e le altre “cripto valute” o “valute digitali” o “valute virtuali” sono esplose, com’è noto, grazie alla tecnologia Blockchain.
In realtà le “cripto valute” sono una delle tante applicazioni della tecnologia Blockchain la cui nascita risale all’anno 1991 ad opera di due ricercatori[1] che hanno individuato una soluzione alla certificazione temporale e, quindi, alla certificazione di autenticità delle transazioni e/o operazioni avvenute su base informatica attraverso una catena di algoritmi o blocchi, da cui deriva il termine Blockchain.
E’ così che la tecnologia blockchain ha consentito di creare un database condiviso nel quale vengono racchiusi i dati di tutte le transazioni effettuate dalla valuta talché ogni operazione è un blocco della catena collegato al blocco successivo e tracciato da un codice che ne permette il riconoscimento, non modificabile. Il database è accessibile da tutta la rete così che ogni utente ha a disposizione lo storico di tutte le transazioni nonché ogni informazione necessaria per controllare l’autenticità dei dati secondo uno schema cd. peer-to-peer (non centralizzato). Il protocollo blockchain applicato in tale ambito consente quindi di sfruttare appieno tutte le caratteristiche di tale tecnologia quali sicurezza, anonimato, assenza di costi di transazione ecc..
Al fine di comprendere il carattere rivoluzionario di tali “valute virtuali” è sufficiente leggere l’abstract del paper a firma di Satoshi Nakamoto, che come è noto è il nome di fantasia dietro cui si nasconde il fantomatico inventore (o i fantomatici inventori) del Bitcoin[2]: “A purely peer-to-peer version of electronic cash would allow online payment to be sent directly from one party to another without going through a financial institution. Digital signatures provide part of the solution but the main benefits are lost if a trusted third party is still required to prevent double-spending. We propose a solution to the double spending problem using a peer-to-peer network”.
In pratica la struttura condivisa e decentralizzata del database garantisce un controllo sicuro e costante dei dati e delle informazioni conferendo al sistema della Blockchain quelle caratteristiche di certezza ed autorevolezza richieste ad uno strumento di pagamento. L’obbiettivo è quello di avere una “moneta” sicura, facilmente accessibile e soprattutto non sottoposta a controllo da parta di alcuna Banca Centrale o Istituzione Bancaria Privata.
E’ evidente che il successo crescente del fenomeno è legato alla crisi del sistema finanziario tradizionale ed in particolare al “Credit Crunch” che, in particolare dal 2008, ha interessato le principali istituzioni finanziarie mondiali generando un incolmabile gap di fiducia da parte di cittadini comuni ed operatori dell’economia reale.
Oltre ai Bitcoin che utilizzano la tecnologia Blockchain si sono diffuse altre tipologie di monete digitali.
Grazie ai cosiddetti “Smart Contract” ovvero protocolli informatici che permettono di gestire accordi, sottoscriverli e regolarli finanziariamente attraverso il ricorso alla valuta digitale e al loro sistema di sfruttamento denominato “Ethereum” è nata la valuta denominata Ether.
La tipologia forse più diffusa di Smart contract è il cd Initial Coin Offers (ICO o Offerta iniziale di una nuova moneta) che ricalca la struttura dell’Offerta di Pubblico Acquisto. Alla base dell’ICO c’è un documento, cd White Paper, nel quale sono definiti gli obiettivi, gli scopi, le regole e la remunerazione legata al progetto per il quale viene formulata l’offerta in forma di ICO. Le ICO possono essere assimilate a titoli non regolamentati che consentono ai fondatori di un progetto di raccogliere un’ingente quantità ingiustificata di capitale, sempre più spesso scelte per finanziarie ricerche scientifiche, start up, prodotti sviluppati da zero …
Il soggetto che promuove il progetto attraverso l’ICO assume un impegno a fronte della sottoscrizione da parte del terzo, in moneta digitale, della propria offerta. L’obbligazione così nata viene incorporata in un file univoco digitale che viene chiamato token e che può essere liberamente trasferito fino al momento della realizzazione dell’obbligazione sottostante.
Istituzioni e banche in tutto il mondo stanno investendo ingenti somme nelle tecnologie legate alla Blockchain e agli Smart Contract e sono state costituite numerose commissioni di studio al fine di studiare il fenomeno e creare adeguati protocolli di tutela per gli operatori economico-digitali.
Sul piano della regolamentazione tributaria occorre osservare che le amministrazioni fiscali hanno iniziato ad occuparsi del fenomeno orami da oltre un decennio, soprattutto al fine di dirimere la questione circa la natura delle cripto-valute.
In abito UE le valute virtuali hanno impegnato le amministrazioni dei singoli membri senza alcun coordinamento tant’è che alcuni hanno inquadrato la nuova fattispecie nell’ambito delle valute mentre altri le hanno considerate dei beni immateriali. Il tutto fino all’importante sentenza della Corte di Giustizia Europea del 22 ottobre 2015, causa 264/14, che ha inquadrato il fenomeno nell’ambito delle valute o monete essendo chiamata ad esprimersi in merito al regime Iva – individuato quindi nell’ambito delle operazioni esenti – delle operazioni aventi ad oggetto il cambio di valuta tradizionale con la valuta virtuale e viceversa
L’amministrazione fiscale italiana si è pronunciata per la prima volta nel 2016, con la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 72/E del 2 settembre, con riferimento al regime d’impresa. In particolare, è stata presa in esame l’attività di quella società che pone in essere l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin ovvero del soggetto che svolge, con carattere di abitualità e professionalità, l’attività di cessione ed acquisto di valuta virtuale in cambio di valuta “tradizionale” e viceversa. L’Agenzia delle Entrate si è richiamata giustamente ai principi esposti dalla citata sentenza della corte europea che assimila le valute virtuali e le operazioni ad esse relative alle operazioni relative a “divise, banconote e monete con valore liberatorio” (di cui all’art. 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE). La stessa quindi inquadra tale attività ai fini Iva nell’ambito delle “operazioni relative a valute estere aventi corso legale e a crediti in valute estere…” che risultano quindi esenti dall’imposta ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 3), del DPR 633/72. Ai fini delle imposte sui redditi, di poi, il risultato positivo (o negativo) derivante dalla differenza tra i prezzi di acquisto o di vendita delle società intermediarie rispetto a quelli garantiti o negoziati con il cliente è ascrivibile tra i ricavi (o i costi) caratteristici dell’attività esercitata e pertanto contribuisce a formare quali elementi positivi (o negativi) il reddito complessivo soggetto a Ires e Irap. Di poi le disponibilità in valuta virtuale presenti a fine esercizio assumono rilievo fiscale ai sensi dell’art. 9 del Tuir in base alla media del valore normale desumibile dalle quotazioni ufficiali sulle piattaforme on-line.
Per i soggetti non in regime di impresa sono intervenute le risposte Agenzia delle Entrate ad Interpello n. 956-39/2018 e n. 903-47/2018 che hanno assimilato le bitcoin e altre criptovalute (n. 956-39/2018) nonché le ICO (903-47/2018) alla stregua delle valute estere con conseguente classificazione nell’ambito dei redditi diversi.
La cessione a pronti di valuta virtuale non dà luogo a un reddito tassabile qualora derivi da portafogli elettronici (wallet) la cui giacenza media non ha superato un controvalore di € 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo di imposta (art. 67, 1° comma, lettera c-ter e comma 1-ter, Tuir). Occorre fare attenzione però in quanto ai fini della verifica del superamento del limite in oggetto occorre conteggiare tutte le valute estere detenute dal contribuente nel periodo di imposta con la conseguenza che le valute virtuali vanno a sommarsi alle altre valute estere tradizionali eventualmente detenute. Inoltre ai fini della determinazione della plusvalenza occorre considerare cedute per prime le valute di acquisizione più recente, secondo il noto criterio LIFO di cui all’art. 67, comma 1-bis, Tuir.
Di converso, in merito alle cessioni a termine di valuta virtuale, se dalle stesse si genera un reddito, questi è sempre tassabile ai sensi dell’art. 67, 1° comma, lettera c-quinquies, Tuir.
Gli utili che derivano dalle operazioni in valuta virtuale nei termini sopra indicati (al netto delle eventuali perdite dell’anno o oggetto di riporto) sono tassati con aliquota sostitutiva al 26%.
Per quanto riguarda gli obblighi di monitoraggio occorre evidenziare che il D. Lgs n. 90/2015 oltre a fornire una definizione di valuta virtuale ha esteso gli obblighi di monitoraggio fiscale agli operatori non finanziari che intervengono attraverso movimentazioni da e verso l’estero di valuta virtuale di importo pari o superiore a € 15.000,00.
Inoltre coloro i quali detengono valute virtuali sono soggetti alla compilazione del quadro RW nell’ambito del categoria “Altre attività estere di natura finanziaria”.
Sempre secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nelle citate risposte, le valute virtuali e assimilate (ICO) non sono soggette all’IVAFE (imposta attività finanziarie) in quanto la stessa è da applicarsi solamente a depositi e conti correnti di natura bancaria.
Infine, l’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 14 del 28 settembre 2018 affronta la questione della tassazione dei cd utility token ovvero di quegli “strumenti” espressi in valuta virtuale e valuta corrente che consentono ai possessori di ottenere dei beni e dei servizi della società emittente ed a quest’ultima di finanziare la propria attività attraverso la vendita al pubblico a mezzo ICO degli strumenti in oggetto.
Nell’ambito del reddito di impresa l’Agenzia inquadra gli “utility token” alla stregua dei voucher (Risoluzione del 22 febbraio 2011, n. 21/E) la cui emissione e circolazione non assume rilevanza ai fini Iva non configurandosi quale anticipazione della cessione o prestazione cui i “buoni” danno diritto.
Nell’ambito del regime non di impresa l’Agenzia delle Entrate afferma che i token sono “rapporti da cui deriva il diritto ad acquistare a termine (quando sarà disponibile) il prodotto o il servizio e, pertanto sono suscettibili di generare un reddito diverso ai sensi dell’art 67 c.1 lettera c – quater, del TUIR “con la conseguenza che il contribuente dovrà compilare il relativo riquadro (RT) della dichiarazione dei redditi.
[1] “How to time stamp a digital document di Stuart Haber e W. Scott Stornetta 1991
[2] Bitcoin: A pear to pear Electronic Cash System redatto da uno o più autori sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto.