Il gravoso “onere della prova” nelle vendite UE “franco fabbrica”

Una recente sentenza della Cassazione (n. 9717/2018) ha assunto una posizione estremamente rigorosa in rapporto agli elementi di prova ai fini della applicazione della non imponibilità Iva alle cessioni intra UE ai sensi del DL 331/1993. In un quadro normativo non chiaro, stante l’assenza di disposizioni specifiche e interpretazioni di prassi e giurisprudenziali non esaustive, sembrano di particolare attualità le indicazioni fornite dalla Assonime con circolare n. 20/2013.

Ai fini della applicazione della non imponibilità Iva alle cessioni intra UE ai sensi del DL 331/1993, un requisito necessario è l’effettiva movimentazione dei beni da un Paese all’altro della UE.

La prova di tale movimentazione è spesso non agevole, ancor più di quanto non accada per le esportazioni (nelle quali agevola la tracciabilità doganale) specie nei casi di vendite “franco fabbrica” nelle quali il trasporto avviene a cura del cessionario e il cedente non ha quindi la possibilità di verificarne l’avvenuta consegna.

Considerata l’assenza di disposizioni normative specifiche, la prassi e la giurisprudenza hanno fornito le più disparate interpretazioni con riguardo alle modalità di prova dell’avvenuto trasporto; ne è seguito un ampio contenzioso poiché gli uffici hanno iniziato a pretendere, in caso di cessioni comunitarie con la lettera di vettura internazionale,  il  c.d. CMR vistato dall’acquirente operatore UE, pena la contestazione dell’errata applicazione del regime della  non  imponibilità  di  cui all’art. 41 del D.L. n. 331/1993 (Nota [1]).

 

Ad appesantire l’onere probatorio a carico del cedente, di recente, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9717 del 19 aprile 2018 ha negato la rilevanza di documenti “di origine privata quali fatture e documentazione bancaria ammettendo ai fini della prova dall’avvenuto trasporto dei beni solo documenti dotati di requisiti di “certezza e incontrovertibilità” quali le attestazioni di pubbliche amministrazioni. A tali fini i giudici hanno ritenuto ammissibile solo la prova mediante lettera di vettura CMR con i dati della spedizione e le firme del cedente, vettore e cessionario unitamente alla documentazione contrattuale, anche in controtendenza rispetto ad un proprio precedente orientamento (sentenza 19747/2013) Nota 2).

 

Sul punto occorre poi segnalare la proposta di modifica alle disposizioni IVA UE da parte del Consiglio UE che prevede l’introduzione di un quadro comune in ambito comunitario per le prove documentali richieste per beneficiare dell’esenzione IVA per le forniture all’interno dell’UE; si tratterebbe però di un ambito  applicativo limitato alle sole operazioni poste in essere da soggetti passivi “certificati” che potrebbero essere identificati in base a parametri simili a quelli che in ambito doganale sono utilizzati per stabilire lo status di “Operatore Economico Autorizzato” (“AEO”), in base al quale sono riconosciuti, agli operatori economici in possesso di tale qualifica, agevolazioni o semplificazioni nella gestione delle proprie esportazioni e/o importazioni o attività ad esse collegate (Nota 3).

 

In tale quadro ingarbugliato un utile e pratico contributo interpretativo è fornito dalla circolare Assonime n. 20 del 1° luglio 2013 che, alla luce della citata risoluzione n. 19/E/2013 e della giurisprudenza sia dei Giudici UE che della Cassazione, ha fornito possibili soluzioni concrete, a tutela della buona fede degli operatori.

Rifacendosi in particolare a quanto affermato dai giudici di  Bruxelles,  secondo i quali la  buona  fede  salva  il cedente nazionale se l’acquirente intracomunitario (o terzi), falsificando i documenti di trasporto, non abbia poi trasportato i beni in un  altro  Stato membro, Assonime sostiene che il beneficio  dell’esenzione  nell’ambito  di  una  cessione intracomunitaria può essere negato solo nell’ipotesi in cui sia  dimostrato, alla luce di elementi obbiettivi, che il contribuente non abbia adempiuto ai propri obblighi in materia di prove o che sia stato a conoscenza di  intenti fraudolenti da parte dell’acquirente, non adottando tutte le misure  che  si sarebbero rese necessarie al  fine  di  evitare  la  propria  partecipazione all’evasione.

Riferendosi poi alle sentenze della Corte di Cassazione (sentenza n. 13457/2012, n. 1670/2013 e n. 12964/2013),  Assonime esclude che il cedente  sia  tenuto  a svolgere attività  investigative  sulla  movimentazione  dei  beni  dopo  la consegna al cessionario comunitario o ad un suo  vettore  incaricato; piuttosto  il  cedente  ha il  dovere  di verificare con la diligenza dell’operatore commerciale le caratteristiche di affidabilità e la correttezza  commerciale  della  controparte,  ad  esempio accertandosi, sulla base  di  elementi  obiettivi,  che  il  cessionario  si avvalga di una efficiente struttura operativa, oppure abbia un considerevole giro di affari o una clientela qualificata. In particolare, per dimostrare la propria buona fede, il cedente “dovrà dimostrare uno di questi due fatti:

  1. a) di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità dell’oggetto della conoscenza da acquisire;
  2. b) che, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata e nonostante la sua esplicazione volta ad adottare un comportamento cognitivo idoneo, egli non è stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione”.

Quindi, al fine di agevolare la prova della buona fede, Assonime fornisce alcune indicazioni operative e suggerisce di inserire nei contratti relativi a tali operazioni e nei documenti di trasporto rilasciati dai trasportatori, alcune specifiche clausole contrattuali a tutela del cedente che prevedano l’assunzione da parte   dei   cessionari comunitari di uno specifico obbligo contrattuale di comunicare l’eventuale mancata consegna dei prodotti nel luogo di destinazione indicato nel documento di trasporto ovvero la consegna degli stessi in un luogo diverso rispetto a quello indicato in tale documento.

A ulteriore tutela del cessionario nazionale, nelle clausole contrattuali Assonime suggerisce altresì di prevedere l’impegno da parte del cessionario a risarcire il cedente delle eventuali somme che l’Amministrazione finanziaria potrebbe richiedere a quest’ultimo, a titolo di imposte, interessi e sanzioni, nel caso in cui fosse accertato il mancato invio all’estero dei beni ceduti.

Tali clausole, da un lato, potrebbero essere fatte valere al fine di indicare la buona fede del cedente e, dall’altro, potrebbero valere come verifica dell’affidabilità del cessionario comunitario.

 

Nota 1) Si veda in particolare la risoluzione del 28 novembre 2007, n. 345/E, con cui l’Agenzia delle Entrate ha avallato la prova con documento di trasporto CMR firmato dal trasportatore per presa in carico della merce e dal destinatario per ricevuta.

Successivamente con risoluzione la n. 477/E del 15 dicembre  2008, l’amministrazione ha precisato  che  ai  fini  della  prova  dell’avvenuta cessione intracomunitaria e dell’uscita dei beni dal territorio dello Stato, la risoluzione n. 345/E/2007 aveva indicato l’esibizione  del  documento  di trasporto CMR a titolo meramente esemplificativo, affermando che nei casi in cui il cedente nazionale non avesse provveduto direttamente al trasporto delle merci e non fosse in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova avrebbe potuto essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare l’avvenuto invio in altro Stato membro.

Più di recente con risoluzione n. 19/E del 24 marzo 2013,  l’Agenzia delle entrate ha indicato puntualmente le  procedure da utilizzare e la documentazione da acquisire,  connessa  ai  trasporti  di beni nelle cessioni intraUe, richiamando alcuni orientamenti della Corte di Giustizia UE, secondo i quali è  necessario  che “il diritto di disporre del  bene  come  proprietario  sia  stato  trasmesso all’acquirente e che il fornitore abbia provato  che  tale  bene  sia  stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e  che,  in  seguito  a  tale spedizione o trasporto, esso abbia lasciato fisicamente il territorio  dello Stato membro di cessione” (sentenza in causa C-409/04,  caso  Teleos,  punto 42).  Per l’Agenzia, secondo quando chiarito dai giudici comunitari, spetta al fornitore dei beni dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti, in quanto l’onere della prova del diritto di fruire di una deroga o di un’esenzione fiscale grava su colui che chiede di fruire del siffatto diritto (sentenza C-409/04 e sentenza causa C-273/11, caso Mecsek-Gabona).

La mancanza  di  specifiche  disposizioni  normative  nazionali  in  merito  ai documenti che il cedente deve esibire per provare l’avvenuto trasferimento del bene in altro Stato UE, secondo la risoluzione, giustifica tuttavia come  “nei casi in cui il  cedente  nazionale  non  abbia  provveduto  direttamente  al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova di cui sopra potrà essere fornita  con  qualsiasi  altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro”.

Inoltre, la stessa risoluzione n. 19/E richiama la sentenza della Corte di Giustizia UE in causa C-146/05, caso Collée, dove è stato chiarito che la prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria può essere prodotta anche in un momento successivo all’operazione.

 

Nota 2) Già con la sentenza del 27 luglio 2012, n. 13457 (e poi con le recenti  sentenze  n. 1670 del 24 gennaio 2013 e n. 12964 del  24  maggio  2013),  la  Corte di Cassazione, recependo i principi espressi dalla Corte di Giustizia UE aveva affermato che lo spostamento fisico  del  bene  costituisce  “elemento strutturale della fattispecie normativa, cosicché la sua mancanza  impedisce il riconoscimento dello stesso carattere intracomunitario della operazione”, affermando il principio secondo il quale grava sul cedente l’onere di dimostrare che i beni ceduti sono trasportati o spediti nel territorio di un altro Stato membro.

Tuttavia la Cassazione ha anche sottolineato la rilevanza, soprattutto in caso di vendite con clausola incoterm “franco fabbrica” (o“ex-work”),  della buona fede del cedente nazionale, affermando che può ritenersi che il cedente  sia  in  buona fede, non passibile di contestazioni, quando abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere per assicurarsi che l’operazione effettuata non lo porti a partecipare ad  una frode

 

Nota 3) Si fa riferimento alla Proposta COM (2017) 568 di modifica del Regolamento UE 282/2011), approvata dal Consiglio UE il 02.10.2018 che prevede l’introduzione del nuovo art. 45-bis che stabilisce due precise ipotesi:

Cessioni intraUe con fornitore soggetto passivo certificato, quando i  beni  sono  spediti  o  trasportati  dal  cedente, direttamente o tramite terzi, che agiscono per suo conto: si presume  che  i beni siano trasportati a partire dallo  Stato  membro  dove  è  avvenuta  la cessione verso un altro Stato membro, purché il fornitore sia “in  possesso di almeno due degli  elementi  di  prova  non  contraddittori  che  figurano nell’elenco di  cui  al  paragrafo  3  che  confermano  il  trasporto  o  la spedizione” tali sono documenti quali il CMR, una polizza di carico o una fattura emessa dallo spedizioniere, la  corrispondenza  tra  le parti coinvolte nell’operazione dove è indicata la destinazione dei beni, la dichiarazione IVA in cui l’acquirente denuncia  l’acquisto  intracomunitario dei beni, i documenti firmati dall’acquirente in cui si  attesta  l’avvenuta ricezione dei beni nello Stato membro.

Cessioni dove è l’acquirente il soggetto passivo certificato: in tal caso l’acquirente è tenuto a rilasciare al fornitore una dichiarazione scritta in cui si attesta che ha trasportato i beni direttamente (o che il trasporto è avvenuto per suo conto da parte di terzi) nello Stato membro di arrivo. La dichiarazione deve essere rilasciata al fornitore entro il decimo giorno del mese successivo alla cessione, il che impone la necessità di protocollare il documento ricevuto. Oltre alla dichiarazione rilasciata dall’acquirente, soggetto passivo certificato, il fornitore deve essere in possesso di altri due documenti attestanti il trasporto e che sono elencati al paragrafo 3 del più volte citato art. 45-bis, tra cui sono presenti anche “i documenti firmati dall’acquirente o da una persona autorizzata ad agire per suo conto, che certificano l’avvenuta ricezione dei beni   nello Stato membro di destinazione” (per questi non è previsto un termine entro il quale devono essere inviati al fornitore).

La documentazione prevista dall’art. 45 bis di fatto era già stata avallata dalla Corte di Giustizia UE; si tratta principalmente di documenti in cui intervengono in qualità di garanti l’acquirente, o soggetti terzi, compresi Pubbliche amministrazioni o enti di altro Stato UE.

Per gli operatori economici che non possiedono tale status di soggetto passivo certificato, rimangono in vigore le norme vigenti, così come interpretate dalla Corte di Giustizia (sentenze relative  alle  cause Teleos, Collée, Twoh International e Mecsek-Gabona Kft da cui emergono i seguenti principi:

  • “l’esenzione della cessione intracomunitaria diviene applicabile solo quando il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente e quando il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione”;
  • sebbene l’onere di provare il trasporto dei beni  in un altro Stato membro incomba sul cedente nazionale, anche nel caso  in  cui  abbia perso  il  controllo  a  seguito  della  consegna  all’acquirente o allo spedizioniere di questo, eventuali norme nazionali a previsione della  prova di tale fatto devono comunque “rispettare i principi  generali  del  diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’UE, quali,  in  particolare, il principio di proporzionalità e di certezza del diritto”
  • il cedente nazionale, per provare di aver correttamente applicato in regime di non imponibilità, deve agire secondo buona fede adottando tutte le misure necessarie per evitare di partecipare ad una frode fiscale.
  • la prova del trasporto in un altro Stato membro può essere acquisita in qualsiasi momento, non solo al momento della cessione ma anche successivamente;

Con specifico riferimento al tipo di prova che il cedente nazionale  può utilizzare, al fine di dimostrare l’avvenuto arrivo delle merci in un  altro Paese, nelle cessioni intracomunitarie “franco fabbrica”, è stato affermato che la soluzione ideale è costituita da una lettera di vettura CMR, firmata dal  mittente  delle merci, dal vettore e dal  destinatario;  tuttavia “ciò non  esclude  che  la  prova  del  trasporto  o  della spedizione possa invece essere prodotta anche in  altro  modo  ove  ciò  non comporti un maggiore ostacolo alla circolazione  transfrontaliera  dei  beni rispetto ai requisiti  della  prova  in  vigore  prima  della  caduta  delle frontiere interne”. Il fatto che l’acquirente abbia presentato alle Autorità  tributarie dello Stato membro di destinazione una dichiarazione (Intrastat) relativa  all’acquisto intracomunitario può costituire una prova supplementare diretta a dimostrare che i beni hanno effettivamente lasciato il territorio dello Stato membro di cessione, ma non costituisce una prova da sola decisiva ai fini dell’esenzione dall’Iva di una cessione intracomunitaria