Con la legge di Stabilità 2020, viene definitivamente abrogata la cosiddetta “Mini Ires”, di fatto mai entrata in vigore, e contemporaneamente reintrodotta l’agevolazione ACE che detassa gli incrementi di patrimonio determinati da accantonamento di utili e conferimenti in denaro dei soci.
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L’ art. 1 commi 287 e 315 della legge n. 160 del 27.12.2019 (in GU n. 304 del 30-12-2019 – Suppl. Ord. n. 45), in vigore dal 1 gennaio 2020, reintroduce l’ACE, (art. 1 D.L. n. 201/2011) a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, quindi dal 2019 per i soggetti “solari”. L’aliquota percentuale per il calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale proprio (Nota 1) è fissata all’1,3%.
Dal punto della “tecnica” legislativa, la Manovra interviene ad abrogare la complessa e meno efficace Mini-Ires, mai entrata in vigore, che era stata introdotta dalla legge di Bilancio 2019 (Nota 2) e poi modificata dal decreto legge 34/2019 e che, a sua volta, abrogava l’ACE.
Si applicano le norme sull’ACE (soggetti ammessi al beneficio, sistema di calcolo, utilizzo a riduzione del reddito, riporto delle eccedenze ecc.) previste dal decreto attuativo 3 agosto 2017 e le interpretazioni di prassi emanate in passato dall’Agenzia delle Entrate, salvo che il coefficiente di remunerazione viene ulteriormente ridotto all’1,3%, depotenziando ulteriormente i benefici.
La reintroduzione dell’ACE, sia i soggetti Ires che Irpef, senza soluzione di continuità rispetto al pregresso, permette di tenere conto dei precedenti incrementi netti del capitale proprio effettuati dal 2011 e fino al 2019, con termine di raffronto che resta al 31 dicembre 2010. Posto quindi che il coefficiente si applica a tutto l’incremento netto del capitale proprio, e non solo alla parte registrata nell’anno di riferimento, l’ammontare del reddito detassato è pari a 13.000 euro per ogni milione di incremento netto, fatto che presumibilmente limiterà il beneficio a quei casi in cui le politiche di autofinanziamento dell’impresa sono state negli anni consistenti e sistematiche; il beneficio ACE può risultare appetibile anche ai fini Irap, poiché è possibile trasformare l’eccedenza ACE di periodo inutilizzata in credito d’imposta per pagare l’Irap, da ripartire in cinque quote annuali di pari importo (Nota 3).
Le imprese che, come detto, adottano una solida politica di autofinanziamento potranno combinare gli effetti della reintroduzione dell’ACE con altre misure quali il credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali e/o il credito di imposta per ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design ed innovazione estetica.
A titolo esemplificativo, nel caso in cui la società soggetto Ires provveda ad assumere risorse proprie nel 2020 per un milione di euro, con l’accantonamento dell’utile dell’esercizio 2019 o con nuovi conferimenti dei soci , il beneficio correlato all’ACE sarebbe pari, in termini di detassazione, a 13.000 euro (l’1,3%), a cui corrisponde a sua volta una minore IRES per (soli) 3.120 euro, sempre non vi sia una base ACE pregressa, la quale potrebbe incrementare il beneficio.
Per i soggetti Ires l’acquisizione di un bene in autofinanziamento consentirà, infatti, di ottenere un beneficio fiscale aggiuntivo a quello degli ammortamenti pari a circa il 6,3% del costo sostenuto.
Se con gli stessi fondi derivanti dall’autofinanziamento l’impresa acquistasse un bene strumentale “ex super-ammortizzabile”, grazie al nuovo credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali (Nota 4) essa maturerebbe un credito d’imposta di 60.000 euro, utilizzabile in compensazione di altri tributi e contributi nel modello F24 in quote costanti nei 5 periodi d’imposta successivi. Il beneficio aggiuntivo connesso all’investimento autofinanziato ammonterebbe, quindi, a 63.120 euro (come detto, circa il 6,3% del costo dell’investimento), di cui l’impresa beneficerebbe, a livello finanziario:
– per 15.120 euro nel 2021 (3.120 euro a titolo di minor saldo IRES relativo al 2020 derivante dall’ACE, unitamente alla prima “rata” di 12.000 euro del credito d’imposta, quest’ultimo come detto utilizzabile anche a scomputo di altre imposte o contributi);
– per 12.000 euro negli anni dal 2021 al 2025, pari alle “rate” successive del credito d’imposta.
Il risparmio d’imposta potrebbe assumere maggiore impatto nel caso di investimenti in beni materiali “ex iper-ammortizzabili” (inclusi nell’Allegato A alla L. 232/2016), per i quali il credito compete sino ad un tetto massimo di 10 milioni di euro per i costi ammissibili, ed è pari al 40%, per la quota di investimenti fino a 2,5 milioni di euro, e al 20% per gli investimenti tra 2,5 e 10 milioni di euro.
Nel caso in cui l’impresa decidesse di investire i fondi mantenuti in azienda, ad esempio, in ricerca e sviluppo (Nota 5), per 100.000 euro di spese ammissibili maturerebbe un credito di imposta pari ad euro 12.000, da utilizzare in compensazione in tre quote costanti a partire dall’esercizio successivo. La combinazione credito di imposta – ACE genera quindi un beneficio pari al 12,3% del costo sostenuto.
Nota 1) In sintesi, per le società di capitali l’incremento del capitale proprio corrisponde alla differenza tra: a) gli elementi positivi, quali utili accantonati a riserve disponibili e conferimenti in denaro, compresa la rinuncia incondizionata dei soci alla restituzione dei crediti e la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti di capitale; b) gli elementi negativi, quale la riduzione del patrimonio netto con attribuzione ai soci a qualsiasi titolo, compresa la riduzione conseguente l’acquisto di azioni proprie, gli acquisti di partecipazioni in società controllate, gli acquisti di aziende o di rami di aziende, gli investimenti in titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni, l’effetto delle clausole antielusive ex art. 10 del DM 3 agosto 2017. Per il 2019 occorrerà valutare l’arco temporale che va dal 2011 al 2019. Per le società di persone e gli imprenditori individuali in contabilità ordinaria (l’agevolazione resta preclusa ai soggetti in contabilità semplificata o in regime forfetario), invece, la base ACE risulta dalla somma algebrica di due masse distinte: a) da una parte, la differenza tra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre 2010, entrambi assunti al lordo dei rispettivi utili d’esercizio; e b) dall’altra parte, la componente dinamica, calcolata con le regole delle società di capitali (quindi, quale differenza tra incrementi per conferimenti dei soci e accantonamenti di utili a riserva e decrementi per distribuzioni ai soci), nell’arco temporale che va dal 2016 al 2019. Per i soggetti IRPEF, peraltro, gli utili di esercizio sono computati per maturazione, e non all’atto dell’accantonamento come invece accade per le società di capitali, per cui l’utile del 2019 va già computato nella base ACE per il 2019.
Nota 2) In luogo dell’ACE, di cui disponeva l’abolizione dal periodo di imposta 2019, la Legge di Stabilità 2019 (Legge n. 145 del 30.12.2018 in GU n. 302 del 31-12-2018 – Suppl. Ord. n. 62) aveva introdotto, a favore delle imprese soggette a IRES e a IRPEF, un regime di tassazione agevolata del reddito di impresa consistente nella riduzione di 9 punti dell’aliquota Ires (o Irpef) applicata sulla parte dell’imponibile riferibile agli utili accantonati a riserva e nel limite di un parametro rapportato ai nuovi investimenti e al costo dei dipendenti neoassunti.
Il calcolo dell’agevolazione si presentava piuttosto complesso, ciò che ha indotto il legislatore ad intervenire con decreto crescita (D.L. 34/2019, in Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2019) che ha semplificato la “mini Ires” in quanto la riduzione del carico fiscale veniva collegata esclusivamente alla mancata distribuzione degli utili e al loro accantonamento a riserva diversa da quelle non disponibili. Tuttavia, a dispetto della prima versione della “mini Ires”, che prevedeva una riduzione sostanziosa dell’imposta di nove punti, la versione revisionata ad opera del decreto Crescita limitava il beneficio della riduzione dell’Ires nelle seguenti misure: 22,5% per il 2019, 21,5% per il 2020 e 21% per il 2021, e, a regime nella misura del 20,5% solamente a partire dal 2022.
Nota 3) Il rendimento nozionale dell’incremento netto di capitale proprio determinato nell’anno è deducibile fino a concorrenza dei redditi prodotti dal soggetto nell’anno stesso; l’eccedenza è riportabile negli esercizi successivi o trasformabile (come eccedenza moltiplicata per l’aliquota Ires/Irpef), in tutto od in parte, in credito Irap. In caso di adesione al consolidato fiscale, l’eccedenza deve essere trasferita al consolidato nei limiti del reddito di gruppo, l’eventuale residuo può essere riportato in avanti o tramutato in credito Irap. In caso di adesione al regime di trasparenza, l’eccedenza è attribuita a ciascun socio in misura proporzionale alla quota di partecipazione agli utili.
Nota 4) Per gli investimenti in beni strumentali nuovi ex-superammortizzabili, per un importo complessivo fino a 2 milioni di euro, destinati a strutture produttive localizzate nel territorio dello Stato ed effettuati da tutte le imprese residenti nel territorio dello Stato, a prescindere da settore, dimensione e dal regime fiscale di determinazione del reddito, spetta un credito di imposta pari al 6% della spesa, da utilizzare in 5 quote annuali in compensazione F24. Per i beni ex-iperammortizzabili la percentuale è elevata a 40% e l’investimento complessivo a 2.5 milioni di euro.
Nota 5) La Legge di Bilancio 2020 al comma 198 e segg. ha introdotto tre crediti di imposta: ricerca e sviluppo (che ha sostituito la precedente versione), innovazione tecnologica, design ed innovazione estetica. Possono beneficiarne tutte le imprese residenti nel territorio dello Stato, incluse le stabili organizzazioni di soggetti non residenti, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico di appartenenza, dalla dimensione e dal regime fiscale di determinazione del reddito d’impresa. La misura varia tra il 6% ed il 12% della relativa base di calcolo, con limiti di spesa massimi distinti, a seconda della tipologia di investimento. I crediti sono utilizzabili in compensazione mediante modello F24 in tre quote annuali. Tra le spese ammissibili figurano le spese per il personale (ricercatori e tecnici), quote di ammortamenti, canoni di locazione e altre spese per beni mobili e software, licenze, privative industriali, spese per contratti di ricerca extra-muros con università ed istituti di ricerca, spese per consulenze, spese per materiali.