La legge di Bilancio 2018 riconosce la crescente importanza del fenomeno cosiddetto “peer-to-peer lending” attraverso l’introduzione di alcune norme fiscali ad hoc certamente favorevoli per i contribuenti. Nell’indicare le modifiche normative si coglie l’occasione per fare il punto sui tali nuovi strumenti di accesso al credito ormai accessibili a tutte le PMI ed alternativi al tradizionale canale bancario.
Per crowdfunding, letteralmente “finanziamento delle folle”, si fa riferimento a forme di finanziamento alternative a quello bancario consistenti nella raccolta di denaro attraverso la piattaforma Internet e per la realizzazione di progetti sia profit che no profit.
Negli ultimi anni si è assistito anche in Italia ad un sempre maggiore ricorso a tale modalità di finanziamento, certamente indotto, da un lato, dalla riduzione dell’offerta di capitale da parte del sistemo bancario a seguito della crisi economica iniziata nel 2008 con particolare riferimento per le PMI e, dall’altro, dallo sviluppo di internet e in generale dei sistemi di pagamento elettronici.
In particolare, tramite apposite piattaforme on line, i cosiddetti fundraiser – che possono essere investitori istituzionali, professionali o singole persone fisiche – hanno l’opportunità di rivolgersi ad un ampio pubblico di potenziali finanziatori per presentare i loro progetti e richiedere finanziamenti; in genere se l’intera somma richiesta o il target prefissato viene raggiunto, si ottiene il finanziamento, altrimenti gli investitori ottengono la restituzione di quanto versato (modello all or nothing); in altri casi, indipendentemente dal raggiungimento di un prefissato obiettivo, i fondi raccolti vengono comunque accettati (modello take it all). In funzione della contropartita offerta si distinguono diverse tipologie: il crowdfunding reward-based in cui viene offerta una ricompensa di natura non monetaria (omaggio o servizio); il donation based crowdfunding in cui le somme sono date a titolo liberalità senza alcun ritorno; e, infine, i modelli di crowdinvesting in cui è prevista una vera e propria remunerazione al prestito.
Il vantaggio sta nel consentire a chiunque abbia un progetto da realizzare l’accesso a un canale di credito dove l’unico parametro è la sensibilità degli investitori al progetto stesso e al modello di business proposto.
Il Politecnico di Milano nel luglio 2017 ha pubblicato il 2° Report sul crowdinvesting, (http://www.osservatoriocrowdinvesting.it/portal/minibond/documenti) nel quale si esamina lo status della ‘finanza alternativa’ degli Internet marketplace in Italia con particolare attenzione ai seguenti tre sottosettori:
l’equity crowdfunding, dove l’investimento avviene tramite la sottoscrizione di capitale di rischio;
il lending crowdfunding, dove l’investimento avviene con la sottoscrizione di capitale a titolo di prestito;
l’invoice trading, che consiste nella cessione di una fattura commerciale tramite un portale online per sopperire al fabbisogno di capitale circolante.
Il Report evidenzia come negli ultimi due anni la finanza alternativa in Italia abbia mostrato segnali di vivacità e interessanti potenzialità, pur rimanendo al momento limitata ad una elite rappresentata soprattutto da start up e PMI innovative.
Passando ad esaminare le diverse tipologie di crowdinvesting, come sopra indicate, per primo si descrive l’equity crowdfunding (raccolta di capitale di rischio) che, come accennato, permette alle società di raccogliere risorse sul Web, attribuendo agli investitori, in contropartita, quote societarie (equity) che garantiscono tutti i diritti patrimoniali e amministrativi di legge. In ogni caso, le risorse arrivano al destinatario solo se la raccolta va a buon fine e raggiunge i target fissati dall’azienda; in caso contrario, il denaro torna ai finanziatori.
In Italia si contano circa 22 piattaforme autorizzate di equity crowdfunding tra cui i portali come Crowdfundme (31 progetti pubblicati, circa 3,1 milioni raccolti), Starsup (29 progetti pubblicati, raccolta di 2,9 milioni) e MamaCrowd (solo 22 progetti ma con una raccolta complessiva di 4,8 milioni) e Nextequity.it.
Come è noto la legge di Bilancio 2017 (legge n. 232 del 11 dicembre 2016) era già intervenuta in materia, estendendo a tutte le piccole e medie imprese la speciale disciplina di equity crowdfunding contenuta nel Tuf ( disposizioni dell’art. 30 che derogano alle nome sulle offerte pubbliche d’acquisto), a sua volta introdotta dal Decreto Sviluppo bis (DL 179/2012) ed in origine riservata esclusivamente alle start-up ed alle piccole e medie imprese innovative (e poi anche organismi di investimento collettivo del rispamio Oicr).
La Manovra di primavera (Dl 50/2017) ha poi al contempo esteso a tutte le Pmi, anche quelle costituite in forma di srl, le deroghe al diritto societario già previste per le start-up innovative, tra cui la possibilità di offrire al pubblico le quote sociali anche attraverso i portali per la raccolta di capitali.
Successivamente il nuovo regolamento della Consob sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali online del 29 novembre 2017 ha recepito tali novità consentendo così, con decorrenza dal 3 gennaio 2018, a tutte le PMI (definite secondo i parametri dell’Unione europea: aziende fino a 250 dipendenti con un fatturato fino a 50 milioni di euro) l’accesso all’equity crowdfunding, a condizione che la campagna sia veicolata su piattaforme autorizzate. L’articolo 14 del nuovo regolamento Consob prevede, nello specifico, l’obbligo per i portali di rendere chiaramente visibili al pubblico una serie di informazioni relative all’identificazione del gestore, dei servizi offerti, delle garanzie, delle regole di trasparenza previste dalla normativa nazionale.
Sulla materia è anche recentemente intervenuto il Dlgs del 3 agosto 2017 n. 129, di recepimento della seconda direttiva europea in materia di prestazione dei servizi di investimento (Direttiva 2014/65/Ue cosiddetta Mifid II), che ha previsto ulteriori modifiche alle disposizioni del Tuf in materia di raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line, anch’essa da poco entrata in vigore (Nota 1).
Altra forma di crowdfunding è il cosiddetto lending, definito anche marketplace lending o social lending, che utilizza le piattaforme on line per consentire agli investitori di prestare denaro a persone fisiche (consumer) o imprese (business) a fronte della corresponsione di un interesse e del rimborso del capitale. In particolare, si distingue a seconda che i soggetti finanziati siano privati “peer to peer lending” (P2P lending) o imprese (P2B lending); i potenziali investitori possono a loro volta essere privati, imprese o investitori istituzionali che affidano alla piattaforma di lending l’allocazione ottimale dei fondi ai richiedenti al fine di minimizzare il rischio. Generalmente la piattaforma di lending seleziona il prestito attribuendo un rating e lo suddivide fra una molteplicità di investitori già acquisiti, per frazionarne il rischio (modello diffuso), oppure lo presenta alla ‘folla’ di Internet, la quale può decidere se finanziare o meno il progetto (modello diretto).
Occorre inoltre ricordare che la Banca d’Italia nel 2016 ha pubblicato le nuove Disposizioni in materia di raccolta del risparmio da parte dei soggetti diversi dalle banche, che comprendono una sezione completamente dedicata al social lending (o lending based crowdfunding) definito come “uno strumento attraverso il quale una pluralità di soggetti può richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori, tramite piattaforme online, fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un progetto”. La stessa chiarisce che l’operatività dei gestori dei portali online che svolgono attività di social è consentita nel rispetto delle norme che regolano le attività riservate a particolari categorie di soggetti (ad esempio, attività bancaria, raccolta del risparmio presso il pubblico, concessione di credito nei confronti del pubblico, mediazione creditizia, prestazione dei servizi di pagamento) e che la normativa in materia è ancora tutta in divenire.
Il Report del Politecnico di Milano, poi, descrive una situazione di vivace crescita del P2P lending in Italia (Nota 2)
Infine veniamo alle recenti modifiche normative sul piano tributario. La Manovra 2018 (Legge n. 27.12.2017 n. 205 in GU n.302 del 29-12-2017 – Suppl. Ord. n. 62) è intervenuta a regolamentare il peer to peer Lending inserendo la nuova lettera d-bis) nell’art. 44 comma 1 del TUIR che ricomprende tra i redditi di capitale i “proventi derivanti da prestiti erogati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali (piattaforme di Peer to Peer Lending)”, purché tali piattaforme siano gestite da società autorizzate da Banca d’Italia in quanto finanziarie ex art. 106 TUB e/o da istituti di pagamento.
Dal 2018, gli interessi provenienti dal peer to peer Lending sono quindi assoggettati alla ritenuta a titolo d’imposta del 26% come gli altri strumenti finanziari; di contro si segnala che fino al periodo d’imposta 2017 tali proventi concorrevano alla determinazione del reddito complessivo del percipiente e subivano una tassazione ai fini Irpef con le aliquote ordinarie da un minimo del 23% a un massimo del 43%, oltre alle addizionali regionali e comunali.
Una seconda novità introdotta dalla Legge di Stabilità consiste nella ricomprensione dal 2018 dei peer to peer lending tra gli investimenti che possono essere inseriti nei Piani individuali di risparmio a lungo termine (Pir), così che in tal caso i relativi interessi possono essere considerati totalmente esenti da imposizione, ai sensi del nuovo articolo 1, comma 89, lettera b-bis della legge 232/2016.
Come noto, i Piani individuali di risparmio a lungo termine sono stati introdotti dalla Legge di bilancio 2017 (legge 232/16, articolo 1, commi 100- 114) con lo scopo di dare impulso al sistema finanziario italiano, canalizzando il risparmio delle famiglie verso piccole e medie imprese così da favorirne il processo di crescita e di sviluppo; si tratta quindi di una forma di raccolta del risparmio familiare, riservata esclusivamente a persone fisiche “private”, la cui gestione è affidata a una Società di Gestione del Risparmio, Sgr (Nota 3).
Nota 1) Le disposizioni del D Lgs 129/2017, che oltre ad attuare la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (cosiddetta MiFID II) hanno anche adeguato la normativa interna alle disposizioni del regolamento (UE) 600/2014 sulla stessa materia (cosiddetto MiFIR), hanno imposto alle imprese di investimento regole più stringenti al fine di garantire una corretta informazione agli investitori circa il fatto che i prodotti finanziari loro offerti siano adeguati alle loro esigenze e caratteristiche e che i beni nei quali investono siano adeguatamente protetti, ampliando gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori oltre a regolare i potenziali conflitti di interesse tra le parti e richiedere un’adeguata profilatura del risparmiatore. Il decreto ha poi previsto che l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), l’Autorità bancaria europea (EBA), per i depositi strutturati, e le autorità di vigilanza nazionali (Consob e Banca d’Italia) abbiano la facoltà di vietare o limitare la distribuzione di taluni prodotti finanziari.
Nota 2) Il Report fotografa, al 30 giugno 2017, una situazione che vede raddoppiate, rispetto all’anno precedente, le piattaforme attive sul lending¸ censite a tale data in nove, la maggior parte (sei) che si rivolgono a persone fisiche (consumer lending) e le altre tre a imprese (business lending).
Nota 3) Ogni singolo PIR prevede un investimento massimo di 30mila euro l’anno e non più di 150mila euro nell’arco di 5 anni che deve essere mantenuto per almeno 5 anni, con l’obbligo di investire almeno il 70% delle risorse in aziende residenti in Italia o nell’Unione Europea, purché con stabile organizzazione in Italia. I PIR non hanno un orizzonte temporale definito, ma una durata minima di 5 anni, rispettando la quale si godono di vantaggiose condizioni in termini di tassazione, in termini di esenzione da tassazione sulle rendite finanziarie, esclusi i redditi derivanti dal possesso di partecipazioni qualificate.
In particolare, la legge di Bilancio 2017 ha previsto un regime di esenzione fiscale per redditi di capitale e capital gain (artt. 44 e 67, c. 1, dalla lettera c-bis alla c-quinquies, Tuir) generati dagli strumenti finanziari inclusi nei Pir conseguiti da persone fisiche al di fuori dell’esercizio dell’impresa commerciale. Restano invece escluse dai benefici le plusvalenze realizzate da cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate (lettera c, comma 1, articolo 67).