Il cosìddetto “Mini-Bond” è uno strumento di finanziamento alternativo e/o complementare rispetto al credito bancario destinato alle PMI non quotate. La relativa disciplina è stata ideata con la finalità di fornire a tali soggetti opportunità di accesso al “mercato del debito”, in analogia a quanto accade nei paesi “finanziariamente” più avanzati. L’emissione del titolo è destinata a finanziare piani di crescita interna o esterna (tramite acquisizioni) oppure piani di ristrutturazione del debito non sostenibili con il ricorso al solo debito bancario.
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Il mercato dei Mini-Bond negli ultimi due anni, sulla base delle analisi condotte dall’Osservatorio Mini-Bond del Politecnico di Milano (5° Report italiano sui Mini Bond del febbraio 2019, documento allegato), ha visto una accelerazione nel numero di emissioni associato ad una riduzione del controvalore medio collocato (Nota 1). Altra rilevazione che emerge dagli studi annuali del Politecnico di Milano è la crescita degli emittenti in forma di società a responsabilità limitata (Nota 2).
L’andamento appena descritto postula la diffusione dello strumento nell’ambito del vasto bacino delle PMI italiane, così come nelle intenzioni del legislatore che nel 2012 introdusse l’istituto e, successivamente, è intervenuto in più occasioni al fine assicurane crescita ed espansione.
Le norme di riferimento sono contenute nel provvedimento istitutivo “Decreto Sviluppo” (D.L. n. 83/2012) e nelle successive integrazioni e modifiche apportate dal “Decreto Sviluppo bis” (D.L. 179/2012), dal “Piano Destinazione Italia” (D.L. 145/2013), dal “Decreto Competitività” (D.L. 91/2014) e, infine, dalla “Legge di Bilancio 2019” (D.L. 145/2018).
In particolare il “Decreto Sviluppo” (D.L. n. 83/2012) è intervenuto per rimuovere i limiti contenuti all’art. 2412 del Codice Civile con riferimento alle SPA. E’ stato così aggiunto il comma 5° che consente il superamento dei limiti ordinari di emissione purché “le obbligazioni siano quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione .. “. Di contro, per le SRL la normativa dei titoli di debito (art. 2483 del Codice Civile) non prevede particolari limiti normativi all’emissione di detti titoli, salvo le previsioni contenute nell’atto costitutivo o nello statuto e ferma restando la sottoscrizione solo da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza.
Merita poi di essere evidenziato l’impulso alla diffusione dei Mini-Bond generato dal “Decreto Competitività” (D.L. 91/2014) che ha previsto un regime fiscale più vantaggioso per gli interessi e gli altri proventi derivanti da obbligazioni mediante l’apertura di fatto del mercato anche agli investitori esteri.
Infine la “Legge di Bilancio 2019” (Legge 145/2018) ha introdotto in particolare la facoltà per le piattaforme di equity crowdfunding autorizzate da Consob di collocare Mini-Bond a investitori professionali in una sezione dedicata.
La menzionata disciplina dei Mini-Bond identifica, anzitutto, i soggetti emittenti che possono essere le società italiane (S.p.A., S.r.l. e Società Cooperative) non quotate diverse dalle banche e dalle micro-imprese (Nota 3).
I soggetti sottoscrittori possono essere solo gli investitori professionali qualificati, ovvero banche, società di gestione del risparmio, Sicav, e altri intermediari finanziari autorizzati; sono pertanto esclusi gli investitori privati “retail” che non possono investire direttamente in Mini-Bond, ma attraverso strumenti gestiti da investitori professionali.
L’emissione dei Mini-Bond può essere accompagnata dalla richiesta di quotazione dei titoli sul mercato di Borsa Italiana anche se, come rilevato dall’osservatorio del Politecnico di Milano, sono in crescita le richieste di quotazione sui mercati esteri a motivo di una maggiore semplicità dei relativi regolamenti e norme di ammissione.
Oltre a “emittenti” e “sottoscrittori” vi sono altri “attori intermedi” che possono variare in funzione delle dimensioni dell’emittente, dell’importo dell’emissione, della richiesta o meno di quotazione del titolo nonché del mercato prescelto (Nota 4).
L’advisor è un consulente destinato ad affiancare l’impresa nella decisione strategica iniziale, nell’analisi del business plan, dell’information memorandum e nella definizione di tempi e modalità dell’emissione. Un ruolo chiave è poi rivestito dal consulente legale che si occupa di verificare gli aspetti formali e di compliance rispetto ai contratti e ai regolamenti o prospetti del prestito. E’ poi prevista l’assistenza di uno sponsor che può essere una banca, una Sicav o una società di gestione del risparmio, il quale supporta la società nell’attività di emissione e nel successivo collocamento presso gli investitori professionali. Infine attori solo eventuali sono l’arranger, che si occupa del collocamento dei titoli sul mercato, individuando i potenziali investitori, e la società di rating si occupa dell’emissione di un giudizio in merito alla solvibilità dell’emittente.
Naturalmente come per l’emissione di un normale prestito obbligazionario la società emittente è tenuta a redigere un “Regolamento del Prestito” che dovrà contenere i termini e le condizioni del prestito. In particolare, questo documento dovrà indicare la natura, la forma e l’ammontare dei Mini-bond, il pagamento degli interessi e le modalità di rimborso del capitale, i diritti e gli obblighi delle parti. È lasciata ampia discrezionalità agli emittenti in merito alle caratteristiche dello strumento emesso sia con riguardo alla remunerazione che alla previsione o meno di garanzie a presidio. Il pagamento degli interessi avviene tipicamente con lo stacco delle cedole periodiche e il tasso può essere sia fisso che variabile, ma possono anche essere previste modalità ibride.
Tra impresa emittente e sottoscrittore deve essere stipulato un contratto di sottoscrizione che regola le modalità, le condizioni ed i termini della sottoscrizione stessa e deve contenere, tra l’altro, dichiarazioni e garanzie, impegni, condizioni sospensive, clausole di manleva ed indennizzo in favore del sottoscrittore.
I costi per le società emittenti sono chiaramente soggetti a numerose variabili.
Dal sito di Borsa Italiana si ricavano informazioni indicative del costo di emissione dei Mini-Bond: un costo una tantum compreso tra l’1% e il 2,5% per l’emissione complessiva e l’eventuale quotazione dei Mini-Bond; un costo annuale di gestione tra i 5 e 15 mila Euro; un costo per il rating societario pari a 20 milia Euro, non obbligatorio ma consigliabile per le emissioni più importanti avendo in genere l’effetto di contenere il tasso di interesse (Nota 5).
Per quanto concerne la cedola di interessi dal Report del Politecnico di Milano si evince come la stessa si attesti, in media, intono a 5,10%, ciò che evidenzia un costo significativamente più alto rispetto al costo medio della provvista bancaria. Il maggior costo del Mini-Bond è giustificato dalla peculiarità dello strumento che è in grado di intervenire laddove il credito bancario non arriva e, per altro verso, non è possibile (o è semplicemente prematura) la raccolta di capitale di credito. Lo stesso Report sui Mini-Bond, già più volte menzionato, osserva come gli stessi si confermino quale fonte di finanziamento alternativa e complementare al credito bancario, soprattutto in preparazione a successive operazioni con investitori istituzionali più complesse come possono essere il private equity o la quotazione in borsa.
Ed in effetti le caratteristiche e la disciplina dei Mini-Bond, gli obiettivi di finanziamento – che sono rivolti principalmente allo sviluppo di nuovi progetti aziendali – e, quindi, la classe di rischio assunto dall’investitore (professionale), collocano di fatto tale “fonte” di finanziamento in posizione intermedia tra il capitale di credito (categoria alla quale i Mini-Bond appartengono) e il capitale di rischio. E’ pertanto in tale ambito che occorre inserire l’analisi costi e benefici dell’operazione.
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Sotto il profilo fiscale il legislatore è intervenuto a più riprese al fine di sottrarre i Mini-Bond da alcune limitazioni e penalizzazioni, previste per i prestiti obbligazionari ordinari, in tema di deducibilità degli interessi passivi (regime fiscale dell’emittente), in tema di ritenuta sugli interessi e proventi (regime dello strumento finanziario) nonché in tema di imposte indirette, in presenza di garanzie a supporto dell’emissione.
In particolare, il “Decreto Crescita” 2012 ha eliminato le limitazioni previste dalla Legge 549/95 che condizionava la deducibilità degli interessi passivi sulla base di specifici parametri di rendimento (Nota 6) e prevedendo l’applicazione della regola generale dettata dall’art. 96 del TUIR (deducibilità in base al Rol).
Il “Decreto competitività” 2014 è intervenuto per sopprimere la ritenuta in precedenza applicata e riconducendo anche i Mini-Bond al regime fiscale di cui al D. Lgs. 239/96, come già le obbligazioni emesse dai grandi emittenti (Nota 7).
Sempre in materia di imposte dirette si segnala il recente intervento legislativo ad opera del DLgs. 142/2018 che ha abrogato la norma (art. 32, comma 13 del DL 83/2012 conv. L. 134/2012) che prevedeva la deducibilità per cassa, e senza applicazione dei limiti dell’art. 96 del TUIR, delle spese di emissione sul mercato delle cambiali finanziarie e delle obbligazioni di cui all’art. 1 del DLgs. 239/96. A seguito di tale modifica, pertanto, a partire dal 2019, le imprese emittenti non potranno più dedurre per cassa le spese sostenute per le emissioni di mini bond quali, ad esempio, gli onorari degli advisor finanziari e legali, le fee dell’arranger, i costi per l’assegnazione di un rating, ecc..
Da ultimo, sotto il profilo delle imposte indirette, come anticipato, il “Decreto Destinazione Italia” ha previsto l’applicabilità ai finanziamenti mediante emissioni obbligazionarie dell’imposta sostituiva pari allo 0,25% che prima trovava applicazione esclusivamente sui finanziamenti a medio – lungo termine concessi dalle banche. L’imposta sostitutiva comprende le imposte di registro, bollo, ipocatastali, tassa concessioni governative etc. e risulta particolarmente conveniente quanto il rimborso è garantito mediante ipoteche su immobili o da terzi.
Nota 1) L’Osservatorio rileva infatti come il contributo di flusso relativo al solo 2018 è stato pari 4,3 miliardi contro un importo pari a 6,5 miliardi nel 2017.
Nota 2) Dal 2013 sino a tutto il 2018 si registrano oltre 746 emissioni per una raccolta complessiva del valore nominale di oltre 25 miliardi di Euro. Il valore medio delle emissioni da parte delle PMI è pari a circa 12 milioni di Euro, mentre quello effettuato dalle grandi imprese è pari a circa 34 milioni di Euro.
Nota 3) Imprese il cui organico è formato da meno di 10 dipendenti e il cui fatturato annuo, o totale dell’attivo di bilancio, è inferiore a 2 milioni di Euro (Raccomandazione 2003/361/CE/del 6 maggio 2003).
Nota 4) Anche se, come peraltro segnalato dal Sito di Borsa Italiana oltre che dai menzionati studi del Politecnico di Milano, per il futuro si può immaginare una progressiva disintermediazione che porterà gli investitori ad un contatto sempre più diretto con il mercato. In questo senso anche l’intervento della “Legge di Bilancio 2019” in merito già menzionata apertura verso le piattaforme di equity crowdfunding.
Nota 5) Nelle voci di costo evidenziate sono da ricomprendere i costi legali, costi di redazione del business plan, del report informativo periodico, della gestione del sito internet, del collocamento etc.
Nota 6) Prima dell’entrata in vigore del Decreto Crescita del 2012, gli interessi passivi corrisposti da Società non quotate (a meno che non fossero Banche) a fronte di un prestito obbligazionario, erano deducibili a condizione che al momento dell’emissione il tasso di rendimento effettivo dei titoli non fosse superiore: al doppio del tasso ufficiale di riferimento per le obbligazioni negoziate in mercati regolamentati o collocate mediante offerta al pubblico; al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi per le obbligazioni diverse dalle precedenti. Gli interessi passivi eccedenti l’importo derivante dall’applicazione dei predetti tassi erano indeducibili dal reddito d’impresa.
Nota 7) Si applica l’imposta sostitutiva pari al 26% sugli interessi percepiti da persone fisiche, società semplici, enti pubblici e privati, trust; per gli interessi percepiti da società commerciali residenti in Italia ed organismi di investimento collettivo del risparmio (lordisti) non si applica l’imposta sostitutiva ma i proventi vanno a tassazione ordinaria in dichiarazione. Infine per l’investitore estero istituzionale o residente in Paesi White list i relativi proventi non sono soggetti a ritenuta in Italia.