Nuovi scenari per i contratti di appalto

Nuovi scenari per i contratti di appalto

Il recente decreto collegato alla Manovra di Bilancio 2020 prevede misure particolarmente gravose a carico delle imprese committenti per i contratti di affidamento di opere o servizi di valore superiore a 200 mila euro. La nuova normativa si inserisce nell’ambito di una serie di misure di contrasto all’evasione e alle frodi in materia di imposte dirette e IVA.

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L’art. 4 del Decreto titolato “Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti ed estensione del regime del reverse charge per il contrasto dell’illecita somministrazione di manodopera” (D.L. n. 124/2019 convertito in Legge 157/2019) prevede le seguenti misure per combattere il fenomeno dell’omesso versamento di ritenute e dell’IVA da parte di imprese appaltatrici/affidatarie e subappaltatrici:

  • Obblighi di controllo e verifica posti in capo al committente che affidi ad un’impresa l’esecuzione di un’opera o di un servizio, in relazione al versamento di ritenute fiscali a titolo di IRPEF e relative addizionali operate da parte dell’impresa appaltatrice o affidataria e delle imprese subappaltatrici, sulle retribuzioni dei lavoratori direttamente impiegati nell’opera o nel servizio.
  • Estensione del reverse charge in materia IVA alle prestazioni di servizi effettuate nell’ambito di contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera (c.d. labour intensive), presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma.

Evidenziato che l’efficacia del nuovo reverse charge IVA è comunque subordinata all’autorizzazione del Consiglio dell’Unione europea, in deroga alla direttiva 2006/112/CE, di seguito si approfondiscono solo le novità in materia di ritenute, alla luce anche dei chiarimenti forniti dall’Agenzia con risoluzioni n. 108 e n. 109 del 2019 e in occasione di Telefisco 2020, posto che le stesse sono già in vigore dal 1° gennaio 2020.

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Il nuovo articolo 17-bis nel Dlgs 241/97, introdotto dall’articolo 4 del decreto legge 124/19, prevede, salvo deroghe, in capo ai committenti di taluni servizi aventi prevalente contenuto di manodopera “labor intensive”, nuovi e gravosi obblighi di verifica riguardanti il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente erogati da parte delle imprese prestatrici.

Profilo soggettivo

Sono sottoposti ai nuovi obblighi di verifica i contribuenti che rivestono la qualifica di sostituti di imposta in base all’articolo 23, comma 1 del Dpr 600/73 e che sono residenti nel territorio dello Stato. Il nuovo obbligo si applica al committente (imprenditore, ente pubblico o ente non commerciale) che risulti sostituto di imposta, il quale affidi ad un’impresa l’esecuzione di un’opera o di un servizio. Sono quindi esclusi i committenti privati.

Profilo oggettivo

Sotto il profilo oggettivo, la norma si applica in caso di affidamento della realizzazione di un’opera o di un servizio “labor intensive” mediante contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o mediante rapporti negoziali comunque denominati. La definizione dei contratti rilevanti è estremamente ampia e tale da includere non solo i contratti di appalto ma anche ai contratti di subfornitura, logistica, spedizione e trasporto, e altri contrati atipici nei quali oggetto del contratto è comunque l’assunzione di un obbligo di fare da parte dell’impresa appaltatrice, come i contratti di servizi di pulizia, portierato, manutenzione, logistica (imballaggio, deposito e spedizione), lavorazione e vigilanza.

La legge pone quattro specifiche condizioni del rapporto instaurato tra committente e prestatore che devono essere congiuntamente realizzate affinché si applichi la nuova disciplina:

  1. corrispettivo complessivo annuo superiore a 200mila euro;
  2. prestazioni caratterizzate da “prevalente utilizzo di manodopera”;
  3. prestazioni rese presso le sedi di attività del committente;
  4. utilizzo da parte del prestatore di beni strumentali di proprietà del committente o ad esso riconducibili in qualunque modo.

Ad oggi la norma, considerata la genericità della formulazione e in mancanza di specifici chiarimenti ministeriali, lascia aperti numerosi problemi applicativi e pone numerosi dubbi interpretativi.

Con riferimento al corrispettivo annuo, da confrontare con la soglia di 200mila euro, è da ritenere che si debba fare riferimento alla cifra indicata nel contratto qualora esso preveda un importo fisso. Per i contratti di durata, tuttavia, non è chiaro, laddove il contratto abbia una durata superiore o inferiore a 12 mesi, se il corrispettivo debba, o meno, essere ragguagliato ad anno (Nota 1).

Problemi applicativi si pongono poi nel caso di contratti che prevedano un corrispettivo commisurato alle prestazioni effettuate/opere realizzate, in cui il superamento o meno della soglia può essere verificato solo a consuntivo; non è dunque chiaro come ci si debba comportare in tali situazioni e se l’eventuale superamento del limite in corso d’anno determini conseguenze per l’omesso adempimento degli obblighi di controllo per il periodo già trascorso ovvero se gli obblighi decorrano solo dal momento di superamento della soglia.

Quanto alla seconda condizione, “prestazione con prevalente utilizzo di manodopera”, non ci sono ad oggi certezze circa le modalità di verifica di tale requisito, in particolare se la prevalenza debba essere valutata rapportando il costo della manodopera sostenuto dal prestatore al totale dei costi richiesti per realizzare l’opera o il servizio (costi di materiali, beni strumentali, servizi esterni e così via). E non è neppure chiaro se, in base a tale condizione, vi rientrino i servizi ad elevata qualificazione, come assistenza e programmazione informatica, consulenza fiscale, consulenza legale ed altre prestazioni simili svolte presso la sede del committente.

Altri dubbi interpretativi sorgono in relazione agli ulteriori requisiti richiesti dalla legge: prestazione resa presso le sedi di attività del committente e utilizzo di beni strumentali del committente.

In particolare, il legislatore non ha specificato granché per il caso in cui la prestazione venga resa con l’utilizzo di beni strumentali del committente: se anche con riferimento ai beni strumentali, debba essere verificata la “prevalenza” rispetto ad eventuali attrezzature dell’appaltatore ovvero se sia sufficiente un utilizzo residuale di beni del committente affinché si possa ritenere raggiunto il requisito richiesto e, quindi, nel caso in cui il prestatore utilizzi beni del committente anche in modo trascurabile scattino gli obblighi di legge, soluzione quest’ultima evidentemente sin troppo restrittiva e gravosa.

In linea generale, l’opinione prevalente è che l’utilizzo debba riguardare soltanto i beni che caratterizzano la prestazione resa, escludendo dunque le strutture produttive o logistiche del committente nelle quali opera il personale dell’appaltatore. Ad esempio, nel caso di affidamento a cooperative di attività di facchinaggio (carico, scarico), se la cooperativa utilizza propri mezzi la norma non si dovrebbe applicare anche se le prestazioni vengono rese all’interno di fabbricati del committente e spostando i beni da scaffalature che sono beni strumentali del committente.

Esclusioni

Sono esonerate dai controlli sul versamento delle ritenute le imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici che sono dotate dei seguenti requisiti di affidabilità, certificati dall’agenzia delle Entrate:

  • esercizio dell’attività da almeno tre anni, regolarità negli obblighi dichiarativi ed effettuazione, nei periodi di imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio, di versamenti in F24 almeno pari al 10% del totale dei ricavi dichiarati;
  • assenza di iscrizioni a ruolo, accertamenti esecutivi, o avvisi di addebito per Ires, Irpef, Irap, ritenute e contributi previdenziali per importi superiori a 50mila euro per i quali siano scaduti i termini e siano dovuti ancora pagamenti, salvi provvedimenti di sospensione (Nota 2).

La certificazione della sussistenza dei suddetti requisiti, che sarà disponibile a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese e avrà validità di quattro mesi, deve essere richiesta dal prestatore/appaltatore che la trasmette al committente, così escludere gli obblighi documentali nei confronti del committente e il divieto di compensazione per versare ritenute e contributi.

Con provvedimento del 6 febbraio 2020 n. 54730 è stato approvato lo schema di certificazione dei requisiti per l’esenzione dagli adempimenti in materia di ritenute sugli appalti, cosiddetto “DURC fiscale” (Allegato A).

Il certificato potrà essere ritirato presso un qualunque ufficio territoriale della Direzione provinciale competente in base al domicilio fiscale dell’impresa, o presso le Direzioni regionali competenti per i soggetti grandi contribuenti, salva in futuro la possibilità che sia reso disponibile direttamente nel cassetto fiscale dell’impresa nell’apposita area del sito dell’Agenzia delle Entrate.

In caso di mancato rilascio del certificato, l’Agenzia delle Entrate comunica il requisito o i requisiti mancanti, così da consentire all’impresa appaltatrice, affidataria o subappaltatrice di comunicare eventuali errori riscontrati al fine di ottenere il rilascio del certificato.

Obblighi dell’appaltatore e del committente

In presenza dei requisiti di legge, ciascuna impresa appaltatrice (e subappaltatrice) che presta il servizio deve procedere a versare le ritenute (Irpef e addizionali) applicate sui redditi di lavoro dipendente e assimilato (articoli 23 e 24 Dpr 600/73) compilando modelli F24 distinti per ciascun committente per conto del quale il personale è direttamente impiegato, con le modalità indicate dalla risoluzione 109/19 (Nota 3).

Il versamento deve essere eseguito senza la possibilità di avvalersi della compensazione di crediti in F24 per effettuare il versamento non solo delle ritenute fiscali, ma anche dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi Inail relativi ai dipendenti impiegati nell’opera o nel servizio a favore del committente.

Il prestatore dovrà poi trasmettere al committente, entro i cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento, oltre alla copia del modello F24, un elenco nominativo dei dipendenti e dei titolari di redditi assimilati (co.co.co e amministratori) che hanno operato direttamente nell’esecuzione dell’opera o del servizio, al fine di consentire il riscontro tra le trattenute effettuate e i versamenti effettivi.

L’elenco dovrà essere dettagliato, con l’indicazione del codice fiscale, delle ore di lavoro, delle retribuzioni e delle ritenute, nonché della parte di queste riguardante l’attività svolta per conto del committente stesso. Come chiarito dalla risoluzione 108/19, al fine di determinare la quota parte di retribuzione e di ritenute afferenti l’attività effettuata per un determinato committente, si deve ripartire il totale mensile del lavoratore secondo parametri oggettivi, come ad esempio il numero di ore lavorate. Ad oggi mancano tuttavia chiarimenti ufficiali su come considerare le retribuzioni (e le corrispondenti ritenute) riferite a ore di ferie, permessi o malattia e se debbano ripartirsi in proporzione alle ore complessive (lavorate e di ferie, permessi e così via) oppure se sia necessario compilare un F24 a parte.

Il committente, oltre a dover richiedere al prestatore i documenti sopra richiamati, deve verificare la correttezza del versamento. Qualora non gli vengano forniti i documenti (F24, elenco dei dipendenti, retribuzioni e ritenute), compresi quelli dei subappaltatori, ovvero qualora, pur avendoli ricevuti, sia stato riscontrato un omesso o insufficiente versamento, il committente deve sospendere il pagamento del corrispettivo maturato dall’affidatario del servizio per un importo pari al minore tra quello delle ritenute non versate e il 20% del valore complessivo dell’opera o del servizio (Nota 4).

Se l’inadempimento del prestatore si protrae per oltre 90 giorni, il committente è inoltre tenuto a darne comunicazione all’Agenzia delle Entrate.

Il committente che non ottempera gli obblighi descritti di richiesta di documentazione, verifica dei versamenti, sospensione dei pagamenti e comunicazione all’Agenzia delle Entrate, è obbligato a pagare una sanzione pari a quella irrogata all’impresa appaltatrice per l’omesso o carente versamento delle ritenute.  Tale sanzione non può essere oggetto di compensazione con eventuali crediti vantati dal committente.

Decorrenza

L’art. 4 co. 2 del DL 124/2019 dispone che il nuovo art. 17-bis del DLgs. 241/97 si applichi a decorrere dall’1.1.2020.

Nel corso di Telefisco 2020, l’Agenzia delle Entrate, richiamando quanto affermato con la precedente risoluzione n. 108/2019, laddove precisava che “la previsione normativa trova applicazione con riferimento alle ritenute operate a decorrere dal mese di gennaio 2020 (e, quindi, relativamente ai versamenti eseguiti nel mese di febbraio 2020), anche con riguardo ai contratti di appalto, affidamento o subappalto stipulati in un momento antecedente al 1° gennaio 2020”, ha ulteriormente chiarito che la norma in esame si applica “con riferimento alle ritenute di competenza del mese di gennaio 2020, ovvero operate relativamente alle retribuzioni maturate e pagate dal datore di lavoro nello stesso mese”.

Ne deriva che sono escluse dal nuovo obbligo le ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e assimilati operate sulle retribuzioni maturate fino al 31.12.2019, indipendentemente dal momento in cui vengano corrisposte e, quindi, anche al di fuori dall’applicazione della c.d. “cassa allargata” ex art. 51 co. 1 del TUIR, secondo cui “si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono”.

Non scattano quindi i controlli del committente sulle ritenute che appaltatori e subappaltatori devono versare entro il 17 febbraio se le retribuzioni pagate a gennaio 2020 sono maturate nel mese di dicembre 2019.

Nota 1) Ad esempio, ipotizzando un contratto di servizi labour intensive, avente le altre caratteristiche di legge, stipulato il 1° marzo 2020, con durata di 7 mesi e scadenza, quindi, al 30 settembre 2020, che prevede un corrispettivo di 120mila euro. In assenza di chiarimenti ufficiali, in via prudenziale ragguagliando ad anno il compenso (120mila / 7 x 12 = 205.714) il contratto sarà da considerarsi rilevante ai fini della normativa in esame.

Nota 2) Il provvedimento del 6 febbraio 2020 n. 54730 ha chiarito tutti i requisiti previsti dalla norma per ottenere il rilascio del certificato devono sussistere l’ultimo giorno del mese oggetto di verifica e che per determinare i “debiti non soddisfatti” si prendono in considerazione “esclusivamente i debiti riferiti alle imposte, ritenute e contributi previdenziali, escludendo interessi, sanzioni ed oneri diversi“.

Nota 3) Il modello F24 deve evidenziare nel campo “codice fiscale del coobbligato” il codice 9 e il codice fiscale del committente.

Nota 4) Per il calcolo di tale soglia del 20% si ripropongono gli stessi dubbi già descritti sorti in relazione all’importo minimo di 200mila euro, in particolare in relazione a contratti con corrispettivi da quantificare a consuntivo.

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