Alla luce delle ultime risposte dell’Agenzia delle Entrate in sede di interpelli riguardanti operazioni di fusione è possibile esaminare diverse circostanze fattuali che secondo l’Agenzia non identificano fattispecie di “depotenziamento elusivo”. Il quadro che ne emerge presenta una situazione assai meno rigida rispetto alla prassi del recente passato.
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Come noto, la fusione societaria è un’operazione caratterizzata da “neutralità” fiscale (Nota 1), in quanto operazione di tipo riorganizzativo e non realizzativo. Ciò è vero sia per le società coinvolte (non si ha realizzo di plusvalenze o minusvalenze sui beni delle società fuse o incorporate, compresi rimanenze ed avviamento, né si tiene conto di avanzi e disavanzi da concambio o annullamento), sia per i soci (per i quali il cambio delle partecipazioni originali con quelle della risultante o incorporante non costituisce realizzo o distribuzione di plusvalenze, ricavi o minusvalenze) (Nota 2).
Particolari cautele però devono essere adottate nel caso in cui una o più società partecipanti all’operazione presentino perdite fiscali. Il legislatore, con le speciali disposizioni antielusive in materia di riporto delle perdite e interessi passivi, di cui all’articolo 172, comma 7, del TUIR, ha inteso infatti contrastare il commercio delle cosiddette “bare fiscali”, società decotte che presentano l’unico pregio di offrire una potenziale fonte di abbattimento del reddito di altri soggetti (Nota 3).
Secondo tale disciplina, il riporto è subordinato ad una condizione ed un limite.
Condizione è che i ricavi e proventi dell’attività caratteristica e le spese per prestazioni di lavoro subordinato di cui al conto economico dell’esercizio precedente l’operazione della società riportante le perdite siano superiori alla media dei due esercizi precedenti. Questo “test di vitalità” è volto ad evitare che la fusione – come sopra ricordato, operazione riorganizzativa – abbia la finalità di ottenere un vantaggio puramente fiscale e non economico, mediante l’inglobamento di un soggetto privo di capacità produttiva o commerciale con una rilevante “dote” in termini di perdite fiscali da compensare.
Il limite è rappresentato dall’entità del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio (o dalla situazione patrimoniale ex art 2501-quater c.c. se inferiore) della società riportante le perdite, al netto dei conferimenti e versamenti (presunti ex-lege quindi esclusivamente strumentali) effettuati negli ultimi 24 mesi. In caso di retrodatazione ai fini fiscali, la limitazione si applica anche alle perdite generate tra l’inizio del periodo di imposta e la data di efficacia giuridica della fusione. Inoltre, i requisiti di vitalità devono permanere fino al momento di attuazione della fusione (Risoluzione 143/E del 2008).
La stessa disciplina è estesa al riporto di interessi passivi indeducibili ex art. 96 del TUIR ed eccedenze ACE (Aiuto alla Crescita Economica, di cui al D.L. 201 del 6 dicembre 2011).
Al fine di escludere l’applicazione delle disposizioni sopra esposte, il contribuente ha la possibilità di presentare interpello (Nota 4) ai sensi dello Statuto del Contribuente (precisamente art. 11 comma 2 L. 212 del 2000), richiedendo un parere sulla sussistenza di condizioni legittimanti la disapplicazione. Ciò in quanto la fattispecie concreta, il caso specifico, può non concretizzare gli effetti elusivi che la norma – di portata generale – intende contrastare.
Proprio attraverso le risposte agli, oramai, numerosi interpelli, è possibile delineare operazioni di fusione ove sia possibile superare la problematica del riporto di perdite, interessi passivi, ACE.
In primis esaminiamo le recenti risposte ad interpello n. 3/2019 e n. 917-250/2019 che trattano due casi analoghi di fusione inversa (società controllata che incorpora la controllante) con retrodatazione degli effetti fiscali, caratterizzate dalla rinuncia da parte del contribuente al riporto delle perdite di una delle società (in entrambi i casi si trattava delle perdite della holding incorporata).
In particolare, nel caso affrontato nell’interpello n. 3/2019, per entrambe le società, le perdite oltrepassavano la misura del patrimonio netto; il test di vitalità era superato dalla incorporante relativamente all’esercizio precedente ma non al periodo interinale, a causa della cessione di un ramo di attività, permanendo tuttavia l’altro ramo. Nulla era detto esplicitamente sulla incorporata ma, dall’argomentazione del contribuente, si può desumere che, almeno per il periodo interinale, il test non fosse superato.
Anche nel secondo interpello entrambe le società presentavano perdite eccedenti i rispettivi patrimoni, mentre il test di vitalità era sempre superato dalla sola incorporante e mai dalla incorporata.
In entrambi i casi l’Agenzia delle Entrate ha accolto le ragioni delle società istanti sulla base della considerazione che le circostanze delineate dai contribuenti quali situazioni congiunturali nonché le scelte imprenditoriali adottate, andamento dell’attività economica nel periodo successivo alla fusione, fanno desumere che non vi sia stato alcun depotenziamento dell’attività di impresa, ossia un piano preordinato alla riduzione della capacità produttiva.
E’ utile esaminare i casi concreti al fine di comprendere meglio in quali ambiti, secondo l’Agenzia, può essere disapplicata la norma antielusiva.
Nel caso affrontato nell’interpello n. 3/2019 la società incorporata era holding italiana di un gruppo internazionale che aveva subìto negli ultimi anni un ridimensionamento della propria attività. In particolare, nei cinque esercizi prima della fusione la holding aveva conseguito esclusivamente ricavi di natura finanziaria, derivanti da interessi attivi su finanziamenti erogati a società controllate e successivamente all’incorporazione l’attività della holding si era definitivamente interrotta; a sua volta, l’incorporante/controllata che sino ad allora aveva operato in tre diverse aree di business prima della fusione ha ceduto il ramo della propria attività riguardante la vendita a clienti finali, con una sensibile riduzione dei ricavi e degli oneri per dipendenti. Inoltre, a seguito di tali vicende societaria nell’anno precedente la fusione si è avuta l’interruzione del consolidato fiscale nazionale con la riattribuzione delle perdite fiscali alle diverse società del gruppo e, conseguentemente, le perdite fiscali riattribuite alla controllata incorporante sono quelle relative al periodo di imposta 2016.
Diversamente, la fattispecie oggetto dell’interpello n. 917-250/2019 della Direzione regionale della Puglia riguardava la fusione di una società (la controllata/incorporante) in concordato preventivo in continuità, che comunque superava il test di vitalità, tanto sui ricavi e proventi dell’attività caratteristica quanto sull’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato; per contro, la società controllante/incorporata deteneva soltanto la partecipazione totalitaria nella controllata, avendo dismesso il proprio patrimonio immobiliare in qualità di garante del concordato della propria controllata e perciò non superava il test. In tale caso la DRE della Puglia, dando ragione alla società istante, ha accolto la tesi per cui sia l’apertura del concordato preventivo, prima, che la programmazione della fusione inversa, poi, rispondono a reali motivazioni economiche e imprenditoriali di natura non tributaria, e consentono di superare anche il limite del patrimonio netto, considerato che i risultati negativi conseguiti non paiono tali da pregiudicare l’operatività della società incorporante (Nota 5).
Nei due interpelli, inoltre, l’Agenzia esclude la possibilità di un disegno elusivo (il commercio della “bara fiscale”) con riferimento alla rinuncia al riporto delle perdite di una delle due società (segnatamente, quelle che non superavano il test di vitalità); ciò in quanto le perdite che saranno riportate si riferiscono all’attività economica che le ha generate.
C’è da chiedersi, però, quale sarebbe stata la risposta in assenza di rinuncia al riporto, stante l’accoglimento, da parte dell’Agenzia, dell’ipotesi di operazione realizzata a fini economico-produttivi.
Altra apertura da parte dell’Agenzia è avvenuta con la risposta a interpello n. 416/2019 (Nota 6) relativamente al caso di società senza perdite fiscali che aveva incorporato una società con perdita fiscali che superava il test di vitalità ma non il limite del patrimonio netto.
Nel caso di specie, accogliendo le ragioni dell’istante, l’Agenzia delle Entrate ha ammesso l’integrale disapplicazione dell’art. 172 comma 7 e, quindi, l’integrale riportabilità post fusione delle perdite fiscali pregresse dell’incorporata, senza tenere conto del “limite quantitativo” del patrimonio netto constatato che, “in base alle risultanze dei bilanci relativi agli esercizi che hanno preceduto la data di efficacia giuridica della fusione ..l’attività d’impresa svolta dalla società incorporata non sembra aver subito un depotenziamento” (Nota 7).
Ciò in quanto le perdite civilistiche, conseguite negli esercizi precedenti dalla incorporata, che avevano determinato un parziale deterioramento della consistenza del patrimonio netto, potevano ritenersi imputabili solo alla circostanza che “essendo gli impianti ormai datati i costi di manutenzione e di revisioni erano piuttosto consistenti rispetto ai ricavi, che quindi, sebbene ancora elevati, non erano sufficienti a coprire tali costi“.
Come in occasione delle precedenti risposte a interpello n. 109/2018 e n. 127/2018, l’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 416 ha ribadito che la ratio della norma antielusiva specifica è quella di “contrastare il c.d. «commercio delle bare fiscali», mediante realizzazione di fusioni con società prive di capacità produttiva poste in essere al fine di attuare la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali di una società con gli utili imponibili dell’altra”.
Un altro profilo della disciplina è trattato nella risposta n. 52 del 2019. Il caso riguardava una società (immobiliare di gestione) incorporata che presentava un’eccedenza ACE, rispettava il limite patrimoniale e superava il test di vitalità relativamente ai soli ricavi, vista l’assenza di costi relativi alle prestazioni di lavoro subordinato, come sovente accade in società del genere. Ebbene, la mancanza di tali costi non è stata giudicata, di per sé, sintomo di scarsa vitalità aziendale (concetto invero già espresso dalla risoluzione 148/E del 2008) e la richiesta di disapplicazione è stata accolta.
Da ultimo ricordiamo il tema del riporto perdite nei casi riguardanti le società veicolo (Spv) in operazioni di leverage buy out (Nota 8). L’argomento in oggetto è già stato affrontato su questa rivista https://www.societaetributiweek.it/societa-e-tributi/lbo-e-successione-di-impresa/ ed è noto come, orami già da tempo, l’Agenzia ha riconosciuto la valenza sul piano aziendale di tali operazioni.
a cura di Adriano Agnello e Paolo Torracca
Nota 1) Art 172 Testo Unico Imposte sui Redditi
Nota 2) L’art. 172 TUIR comma 3 fa salva però l’applicazione degli artt. 47 e, ove applicabili, 58 e 87 nel caso di conguaglio in denaro.
Nota 3) occorre forse notare che, non sussistendo più il limite quinquennale di riporto delle perdite (nuovo art. 84 TUIR), paradossalmente, la società perde la possibilità di riportare le perdite oltre limite solo in caso di fusione (e scissione, ex art. 173 TUIR).
Nota 4) Si segnala al riguardo la posizione di Assonime (circolare n. 6/2016), secondo cui il mancato esperimento della procedura di interpello non può comunque comportare il disconoscimento della deducibilità di tali costi ma semplicemente l’applicazione della sanzione – compresa tra 2.000 e 21.000 euro – prevista per la mancata presentazione dell’istanza.
Nota 5) In particolare la conclusione favorevole della DRE Puglia è motivata anche dalle seguenti considerazioni: i) le perdite sembrano essere la conseguenza degli eventi di natura eccezionale e delle circostanze straordinarie rappresentate (risposte a interpello nn. 109/2018 e 127/2018); ii) l’attività economica, cui le perdite afferiscono, prosegue successivamente all’operazione di fusione; iii) la società che intende riportare la propria “dotazione” fiscale supera il “test di vitalità”, anche nel periodo interinale; iv) a fronte delle scelte imprenditoriali adottate, i ricavi delle vendite mostrano un andamento crescente nel tempo; v) si registrano incrementi anche nelle spese per lavoro dipendente; la capacità di continuare l’attività e di far fronte alle proprie obbligazioni ha trovato l’implicita valutazione positiva nell’ammissione al concordato preventivo, poi concluso e dichiarato eseguito dal Tribunale.
Nota 6) Il caso oggetto dell’istanza riguardava una società incorporante, esercente attività di gestione di un impianto sportivo, oltre alle attività secondarie di bar ristorante, che non presentava perdite fiscali pregresse (né eccedenze riportabili di interessi passivi ), con una società incorporata che esercitava sempre attività di gestione ed esercizio di impianti sportivi e l’attività secondaria di gestione di un bar, che riportava invece perdite fiscali di ammontare superiore all’entità del proprio patrimonio netto pur superando il “test di vitalità”.
Nota 7) Secondo quanto riferito dall’istante il superamento del test di vitalità da parte della società incorporata costituirebbe un indice che la società ha una capacità produttiva, considerata anche l’entità dei ricavi in valore assoluto mentre il mancato superamento dei requisiti patrimoniali sarebbe dovuto alla circostanza che “la società aveva difficoltà a gestire l’impianto perché di dimensioni ridotte, inoltre essendo gli impianti ormai datati i costi di manutenzione e di revisioni erano piuttosto consistenti rispetto ai ricavi, che quindi, sebbene ancora elevati, non erano sufficienti a coprire tali costi. La società non ha quindi mai subito un depotenziamento”
Anche la società incorporante presentava un’elevata capacità produttiva, come testimoniato dai bilanci e dal superamento del test di vitalità La scelta di attuare la fusione era basata, tra l’altro, sul fatto che le due società esercitavano la medesima attività di gestione di impianti sportivi nel medesimo e che l’azionista di maggioranza della incorporata era lo stesso Comune, che, a causa delle recenti perdite subite dalla società per i motivi sopra menzionati, avrebbe dovuto dismettere le relative partecipazioni e aveva perciò l’interesse che l’acquirente fosse un investitore locale, che potesse dare maggiori garanzie sul mantenimento della forza lavoro. Ed inoltre l’unione degli impianti, precedentemente di proprietà di due società distinte, attraverso la gestione di un’unica società, avrebbe permesso “ complessivamente un’espansione dell’attività superiore all’incremento dato dalla sola fusione. Ne consegue un incremento progressivo dei ricavi attesi“.
Nota 8) Nelle operazioni di leverage buy out – LBO una Special purpose vehicle – Spv (società veicolo), in genere appositamente costituita, raccoglie capitale di debito per l’acquisizione di una società target; ad acquisizione avvenuta si procede alla fusione ed al rimborso del debito tramite i flussi di cassa (o le disponibilità) dalla “ex” società target.