La fusione “inversa o rovesciata” è una tipologia di fusione sempre più diffusa nella pratica delle aggregazioni di gruppo grazie ad un quadro normativo oramai definito nella direzione della sostanziale equiparazione degli effetti con la fusione tradizionale o diretta; invero sono indiscutibili i vantaggi sul piano pratico riconducibili a tale particolare forma di fusione. Una recente Risoluzione della Agenzia della Entrate (la n. 62/E del 24 maggio 2017), tuttavia, offre lo spunto per ripercorrerne la disciplina segnalando, al contempo, l’incongruenza della posizione della amministrazione finanziaria che sembra non recepire l’evoluzione dell’istituto in commento generando, di conseguenza, incertezza interpretativa circa il corretto regime tributario applicabile.
La fusione tra società può attuarsi mediante la costituzione di una nuova società, nella quale vanno a confluire più società già esistenti, oppure mediante l’incorporazione di una o più società da parte di una società esistente (art. 2501). Nell’ambito della fusione per incorporazione una casistica importante e diffusa è quella rappresentata dalla incorporazione tra società tra le quali insiste un rapporto di partecipazione. La fusione inversa rientra in tale particolare ambito e si fa riferimento alla fusione “diretta” quando è la partecipante ad incorporare la partecipata mentre ci si riferisce alla fusione “inversa” o “rovesciata” quanto è la partecipata ad incorporare la partecipante (Nota 1).
La scelta di procedere ad una fusione inversa piuttosto che diretta si fonda su solide motivazioni economiche la cui legittimità è oggi fuori discussione. Le stesse risiedono in una serie di semplificazioni sul piano organizzativo e amministrativo che si verificano tutte le volte che la società partecipante (incorporata) è una holding o, comunque, una società con operatività limitata a pochi rapporti esterni, mentre la partecipata (incorporante) è una società operativa che ha rapporti con clienti, fornitori, banche, amministrazioni pubbliche ecc..; l’opportunità di evitare la modifica/aggiornamento della corrispondenza, dei sistemi software e contabili, le comunicazioni di aggiornamento anagrafiche rivolte ai soggetti con i quali la società intrattiene rapporti, di procedere alle volture e annotazioni per i beni immobili e mobili registrati, di “trasferire” licenze e/o autorizzazioni amministrative e altro, a seconda del caso specifico, può rappresentare una significativa semplificazione sul piano organizzativo e gestionale e spesso anche un considerevole risparmio di costi diretti.
Per comprendere appieno il fenomeno descritto, occorre dar conto di una importante evoluzione normativa in tema di effetti della fusione. E’ utile ricordare, infatti, che prima della riforma del 2003 la fusione veniva comunemente ricondotta ad una vicenda giuridica che generava l’”estinzione” di uno o più soggetti e il “trasferimento” del patrimonio in favore di altro soggetto. In verità esisteva un orientamento, del tutto minoritario, diretto a considerare la fusione una mera modificazione degli atti costitutivi dei soggetti partecipanti all’operazione. Tale orientamento, a ben vedere, trovava un ostacolo nel stesso dettato normativo che faceva esplicito riferimento all’estinzione del soggetto fuso (Nota 2). La riforma del 2003 è intervenuta a modificare in modo radicale l’art. 2504-bis, rubricato appunto agli “Effetti della fusione”, mediante l’eliminazione del riferimento normativo alla “estinzione” dei soggetti (Nota 3). Oggi è conseguentemente pacifico che alla fusione non è più attribuibile alcun fenomeno a carattere “estintivo” con riferimento alla società incorporata (o preesistente), né di “trasferimento” o “successione universale”, con rifermento al patrimonio che confluisce nella società risultante dalla fusione.
La fusione rappresenta quindi un evento di tipo “organizzativo” ovvero una modifica delle entità giuridiche che partecipano alla fusione e che proseguono senza soluzione di continuità unendosi e dotandosi di una nuova struttura organizzativo-societaria. E’ evidente la portata novativa della modifica all’art. 2404-bis alla quale si accompagnano importanti conseguenze nella direzione della equiparazione della fusione per incorporazione diretta ed inversa, osservato che nel fenomeno modificativo degli atti costitutivi delle società partecipanti all’operazione perde ogni valenza la “direzione” assunta dall’operazione.
Sono quindi applicabili indifferentemente alla fusione diretta ed a quella inversa le norme quali l’art. 2501-bis (Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento), l’art. 2505 (incorporazione di società interamente possedute) e l’art. 2505-bis (Incorporazione di società possedute al novanta per cento) (Nota 4).
In particolare si osserva che la fusione inversa è tipicamente utilizzata nelle operazioni di LBO (leverege buy out) dove la società holding è una società newco finanziata per acquistare il controllo della società target operativa. Detto schema, infatti, prevede la successiva fusione tra le due società al fine di agevolare il rimborso del debito attingendo direttamente dai flussi finanziari generati dalla società operativa (Nota 5). Nei casi di LBO è di norma la società target a detenere gli assets materiali e immateriali nonché tutti i rapporti con clienti, fornitori, dipendenti, banche ecc.. mentre la società holding è costituita al fine di acquisire il finanziamento: è chiaro quindi come sia più agevole e assai meno dispendioso sotto il profilo amministrativo e gestionale che sia la prima (partecipata) ad incorporare la seconda (holding).
Sul piano dei principi contabili si occupa di fusione inversa di l’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) con il principio n. 4. il quale, coerentemente con quanto sin ora illustrato, ha fissato l’importante principio di equivalenza tra fusione diretta e fusione inversa o rovesciata: “..costituiscono due modalità diverse della fusione per incorporazione e hanno un’identica disciplina giuridica, e poiché gli effetti economici dell’operazione (anche in base al principio di prevalenza della sostanza sulla forma) non possono essere diversi, il complesso economico unificato dopo la fusione non può che avere lo stesso valore, sia che si effettui una incorporazione diretta o una incorporazione rovesciata”.
Sul piano tributario, pur rimanendo nell’alveo della neutralità fiscale, i cui profili erano già ben delineati e preesistenti alla riforma societaria appena menzionata, la fusione post riforma non può non subire conseguenze per effetto della mutata visione del fenomeno. Ante riforma detto istituto implicava un trasferimento patrimoniale da un soggetto all’altro e l’estinzione di uno o più soggetti, mentre post riforma comporta una semplice modifica degli atti costitutivi con finalità riorganizzative. Il profilo della neutralità ne risulta conseguentemente ampliato grazie alla sostanziale “equidistanza” dei soggetti partecipanti all’operazione rispetto al fenomeno aggregativo.
L’estensione del grado di neutralità risulta particolarmente evidente se si esamina il caso della fusione inversa e diretta per cui sembra doversi considerare del tutto irrilevante la “direzione” della fusione. Per esempio il mutato contesto del fenomeno ha portato l’amministrazione finanziaria, con la Risoluzione n. 111/E del 27 aprile 2009, a considerare rivalutabili non solo i beni della incorporata nella fusione diretta ma anche i beni della incorporante nella inversa confermando la neutralità della “direzione” prescelta per la fusione.
Altrettanto non è accaduto con la recente risoluzione n. 62/E del 25 maggio 2017 in tema di stratificazione del patrimonio netto della fusione diretta e inversa. In controtendenza rispetto al precedente orientamento e, soprattutto, in aperto contrasto con la su menzionata evoluzione codicistica del fenomeno, l’amministrazione afferma una differenza sostanziale della fusione inversa rispetto alla diretta in tema di stratificazione del patrimonio netto. Ad avviso dell’Agenzia, infatti, diversamente da quanto accadrebbe nella fusione diretta, in quella inversa occorrerebbe in primo luogo attribuire alle poste del suo nuovo patrimonio netto l’originaria stratificazione fiscale del patrimonio netto della incorporante/partecipata e poi, in via residuale, ricostruire gli strati fiscali del patrimonio netto ante fusione della partecipante/incorporata.
E’ stato correttamente osservato (Nota 6) che, se così fosse, verrebbe consegnato agli operatori uno strumento di pianificazione fiscale, talché la scelta tra la fusione diretta e quella inversa potrebbe essere fatta in ragione della sola “convenienza fiscale“ circa stratificazione del patrimonio netto risultante dall’operazione (diretta o inversa), privilegiando per esempio la “direzione” che consente il mantenimento di riserve di capitale a scapito della ricostituzione di riserve in sospensione di imposta o di utili. In verità la menzionata risoluzione sembra non recepire l’evoluzione del fenomeno sul piano societario poiché si richiama, a corredo della interpretazione fornita, ai principi di sopravvivenza ed di estinzione dell’ente giuridico i quali, per quanto sin ora illustrato, sono totalmente estranei alla fusione post riforma. E’ quindi auspicabile un prossimo mutamento di orientamento che troverebbe anche giustificazione nell’interesse dell’erario che l’amministrazione e diretta a tutelare.
Nota 1 Nella prassi si registra sovente l’uso del termine “reverse merger” per indicare la fusione inversa. Occorre evidenziare tuttavia che le operazioni di reverse merger cui fa riferimento l’IFRS 3 nell’ambito delle business combination ricomprendono quelle forme di aggregazione aziendale in cui il soggetto giuridicamente acquisito coincide con l’impresa economicamente acquirente; di contro, non sono ricomprese nella definizione le unioni tra società soggette allo stesso controllo, come si verifica in molti casi di fusione inversa quali le unioni a seguito di LBO.
Nota 2 L’art. 2504-bis ante riforma riportava: “La società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono in diritti e gli obblighi delle società estinte”.
Nota 3 Il nuovo testo che riporta letteralmente “la società risultante dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.
Nota 4 Cfr Fusione inversa semplificata Orientamento Comitato Triveneto dei Notai, n. 5, 1° pubblicazione 9/2004, Consiglio Nazionale del Notariato, La Fusione c.d. semplificata di cui all’art. 2505 C.C.: casistica e problemi dopo la riforma, studio n. 204-2009/I, Piergiorgio Castellano, La fusione inversa: questioni dottrinali e giurisprudenziali, www.notaioricciardi.it
Nota 5 Di norma si accede a tali schemi nell’ambito del passaggio generazionale dell’impresa (FBO) quando una parte dei soci/familiari – di norma operativi nella società – acquisisce il controllo liquidando altra parte dei soci/familiari uscenti – di norma non coinvolti nelle attività strategiche dell’impresa. In altri casi è il gruppo di managers/dirigenti a rilevare il controllo (attraverso i flussi della società target) e liquidare i soci non operativi (MBO). In tutti questi casi è la società target a detenere gli assets materiali e immateriali nonché tutti i rapporti con clienti, fornitori, dipendenti, banche ecc.. mentre la società holding che effettua l’acquisto è di norma una società neocostituita per l’acquisizione del finanziamento: è chiaro quindi come sia più agevole e assai meno dispendioso sotto il profilo amministrativo e gestionale che sia la prima (partecipata) ad incorporare la seconda (holding)
Nota 6 Andrea e Giudo Vasapolli, Fusione inversa: regole controverse sulla stratificazione del patrimonio, Norme e Tributi Mese n. 7/8 Luglio Agosto 2017.