La legge di bilancio 2018 interviene a risolvere definitivamente il discusso orientamento giurisprudenziale che considerava abusivi, sotto il profilo delle imposte indirette, gli atti concatenati di conferimento e vendita di partecipazioni, cosiddetti “share deal”, sottoponendoli a imposizione con aliquota proporzionale come le cessioni di azienda e di ramo d’azienda.
In particolare, la Manovra 2018 (Legge n. 27.12.2017 n. 205 in GU n.302 del 29-12-2017 – Suppl. Ord. n. 62) interviene a modificare l’art. 20 del DPR 131/86, stabilendo che l’imposta di registro si applica sulla base della natura e degli effetti giuridici del singolo atto, prescindendo dagli atti collegati. A seguito di tale provvedimento, dal 1° gennaio 2018, alle operazioni di share deal si applica l’imposta di registro in misura fissa.
Come noto, i trasferimenti di aziende o di rami aziendali sono frequentemente realizzati, soprattutto per imprese complesse e articolate, mediante operazioni concatenate di conferimento degli asset in una newco e successiva cessione delle partecipazioni della conferitaria. Tale modalità, come è noto, è preferita perché consente al cessionario finale di operare, sin dalla data di cessione delle partecipazioni e senza soluzione di continuità, con una struttura societaria ad hoc che già detiene l’azienda in piena attività, senza la necessità di ulteriori formalità gestionali e/o amministrative.
Tali operazioni risultano peraltro appetibili ai fini delle imposte dirette in quanto l’art. 176 Tuir consente il perfezionamento del conferimento d’azienda in regime di neutralità d’imposta e la successiva cessione delle partecipazioni, da parte della società proprietaria cedente, può beneficiare del regime della partecipation exempion (Pex) se sono rispettate le condizioni previste dall’art. 87 del Tuir; con l’operazione concatenata, quindi, il cedente rileva la plusvalenza imponibile, non in sede di conferimento (che è neutrale a certe condizioni), ma nella cessione delle azioni e può conseguentemente sfruttare la tassazione di tale ricavo con l’imposta Ires applicata solo sul 5% dell’imponibile, così come previsto dall’articolo 87 del Tuir.
Si ricorda inoltre che l’operazione di share deal è da tempo ritenuta pienamente legittima nell’ambito delle imposte sui redditi, tant’è che l’articolo 176, comma 3, del Tuir, ritiene non censurabile ai fini della norma antielusiva il conferimento di azienda, in regime di neutralità o di affrancamento con imposta sostitutiva, seguito dalla cessione delle partecipazioni ricevute a fronte del conferimento al fine di usufruire della esenzione Pex sulle plusvalenze realizzate.
Di converso è solo il caso di ricordare che i benefici descritti per il caso di circolazione delle aziende non si rendono applicabili nel caso in cui le operazioni in commento abbiano ad oggetto singoli beni, quali immobili, o insieme di beni non costituenti un autonomo complesso aziendale.
La questione controversa sulle operazioni di share deal atteneva piuttosto al campo delle imposte indirette. Negli ultimi anni si era infatti sviluppato un filone giurisprudenziale che, in base all’articolo 20 del Dpr 131/86, ha sostenuto la natura abusiva, ai fini delle imposte indirette, delle operazioni in oggetto e affermato, di conseguenza che le due operazioni concatenate dovessero essere assoggettate non già all’imposta fissa di registro prevista dalla legge per lo specifico atto, ma a quella proporzionale (9% immobili e 3% altri beni) stabilita per le cessioni di azienda (si vedano sentenze della Cassazione n. 8542 del 29.04.2016, n. 5877 del 13 marzo 2014 e n. 15319 del 2013).
Per contro, la non abusività di tali operazioni era riconosciuta dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza di merito, ed è stata recentemente accolta anche dalla Suprema Corte la quale, nella sentenza n. 2054 del 27 gennaio 2017, pur non rifacendosi alla nuova norma sull’abuso del diritto di cui all’art. 10bis Legge 212/2000, ha affermato che in ambito tributario, “il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici”.
Secondo la Corte tale principio antiabusivo non si applica “ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta” e, in particolare, “il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali”; secondo i giudici, inoltre “la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate”.
Nel caso di specie, dunque, la Corte ha cassato il ricorso dell’Agenzia secondo cui la cessione di quote doveva essere riqualificata come cessione di ramo di azienda (ai sensi dell’articolo 20 DPR 131/86 TUR), ritenendo invece che il contribuente non abbia posto in essere alcuna operazione antielusiva, bensì abbia realizzato una legittima scelta negoziale.
La legge di bilancio 2018 ha infine trasposto, a livello normativo, tale principio prevedendo, come detto, che la tassazione con l’imposta di Registro si effettui secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici del singolo atto registrato e non “degli atti”, sulla base degli elementi desumibili dall’atto stesso, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti a esso collegati.
La Legge di bilancio è intervenuta altresì, a modificare l’art. 53-bis del DPR 131/96 stabilendo che si applica anche all’imposta di registro quanto previsto dalla norma generale antiabuso (art. 10-bis della L. 212/2000), norma che è appunto disapplicata per queste operazioni ai fini delle imposte dirette in virtù della disposizione di cui all’articolo 176 del Tuir.
Il nuovo quadro normativo fa sì che, dal 1° gennaio 2018 sia dunque definitivamente superato ogni limite ostativo per le operazioni di share deal, che rientrano nella prassi consolidata degli operatori economici, come “strumento”, in senso lato, spesso preferito per la circolazione dei complessi aziendali; ciò ne conferma la valenza economica nell’ambito delle semplificazioni e/o agevolazioni dei processi di aggregazione tra imprese e gruppi, anche per gli effetti che le stesse producono in termini di semplificazione e continuità sul piano organizzativo e gestionale.
Tali operazioni potranno ora essere realizzate senza il rischio di contestazione da parte dell’Agenzia, non solo sotto il profilo delle imposte dirette ma anche ai fini dell’imposta di registro con un quadro normativo che di fatto conferma l’applicazione della stessa in misura fissa.
Si allega una Tabella riportante, a confronto, il testo dell’art. 20 DPR 131/86 risultante dopo le modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2018 e il testo previgente.