L’acquisto di opere d’arte costituisce un’alternativa ad altre tipologie di investimento, immobiliare o finanziario, e rappresenta sempre più spesso un “asset” strategico che i gestori patrimoniali propongono agli investitori privati, in un’ottica di differenziazione e riduzione del rischio. Ad oggi, seppure non vi sia una normativa fiscale ad hoc per le operazioni aventi ad oggetto tali beni, la variabile fiscale può rappresentare un fattore strategico nella valutazione della convenienza dell’investimento.
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Nel nostro ordinamento, nonostante qualche recente tentativo di intervento da parte del legislatore e salvo alcune specifiche disposizioni agevolative per i beni di interesse storico o artistico “vincolati”, non esiste una specifica disciplina fiscale per le opere d’arte, né una definizione univoca di “opera d’arte”.
Come noto, nell’accezione comune rientrano fra gli oggetti d’arte: i quadri, le pitture, i disegni, i collage, le incisioni, le stampe, le litografie, le statue e le sculture; in linea generale un bene artistico è considerato tale a condizione che lo stesso sia eseguito interamente a mano.
Nel nostro ordinamento le opere d’arte e i beni culturali sono disciplinati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) che prevede dei limiti alla loro circolazione (Nota 1), mentre ai fini Iva, nell’ambito dello speciale “regime del margine”, gli “oggetti d’arte” sono elencati nella Tabella 1 allegata al D.L. 41/1995 (Nota 2).
L’investimento in arte effettuato per scopi non puramente commerciali o speculativi può avere anche un appeal fiscale rispetto ad altre tipologie di investimento (immobiliare o finanziario) che, per contro, comportano sempre una tassazione diretta e/o indiretta.
Occorre tuttavia subito evidenziare come nella pratica non risulti sempre agevole stabilire il giusto trattamento fiscale delle operazioni che riguardano i beni d’arte, anche in ragione della varietà di tipologie di operatori attivi sul mercato dell’arte (dai cosiddetti mercanti d’arte, quali antiquari, gallerie o case d’asta, sino ai collezionisti privati) e in considerazione delle differenti finalità con cui possono essere poste in essere le operazioni.
Cercheremo, quindi, di affrontare le diverse “questioni” fiscali che si pongono con riferimento all’acquisto e alla vendita di opere d’arte soffermandoci, dapprima, sul profilo delle imposte dirette per poi passare ad un inquadramento ai fini Iva e delle imposte indirette.
La “questione” centrale, che sarà oggetto di approfondimento e che investe sia il campo delle imposte dirette che dell’IVA, attiene alla qualificazione del soggetto che compra e/o vende opere d’arte. Non vi sono, come vedremo, regole chiare e criteri oggettivi per distinguere il collezionista privato da chi si trova anche occasionalmente, a commerciare in opere d’arte e, pertanto, per poter individuarne il corretto regime fiscale occorre fare riferimento ai principi generali del sistema tributario.
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Sotto il profilo delle imposte dirette, a differenza di quanto previsto in passato dall’art. 76 DPR 597/1973 (Nota 3), le attuali disposizioni del TUIR non danno indicazioni univoche in ordine alla rilevanza fiscale delle vendite di beni artistici.
Occorre sul punto dar subito conto di una recente proposta di legge che era contenuta nella bozza della Legge di Bilancio 2018, come approvata dal Consiglio dei Ministri il 16 ottobre 2017, ma poi stralciata nel corso dell’iter parlamentare, con la quale il legislatore, nell’intento di colmare il vuoto normativo, introduceva la regola generale della tassazione delle plusvalenze da cessione di beni d’arte, con esclusione di ogni ipotesi di esenzione anche per le plusvalenze realizzate su opere d’arte acquisite per eredità o per donazione (Nota 4).
Ad oggi, ad eccezione delle norme in materia di reddito d’impresa, secondo cui le plusvalenze relative a operazioni poste in essere nell’esercizio di un’impresa commerciale (Nota 5) dai cosiddetti “mercanti d’arte” concorrono a tassazione nell’ambito del reddito d’impresa e l’operazione, come vedremo, va assoggettata a Iva, l’unica disposizione di riferimento è quella contenuta nell’art. 67 Tuir che, nell’ambito dei redditi diversi, annovera “i redditi da attività commerciali non esercitate abitualmente”.
In tale contesto normativo, quindi, pur in presenza di compravendite da parte di soggetti privati che non esercitino in maniera organizzata e continuativa l’attività di commercio di opere d’arte, potrebbe tuttavia realizzarsi il presupposto d’imposta di cui all’art. 67 Tuir derivante dall’esercizio di un’attività commerciale esercitata non abitualmente. Non è infrequente, infatti, che l’Agenzia delle Entrate, sulla base di tale disposizione, sottoponga ad accertamento le cessioni da parte di privati, non imprenditori che, secondo l’ufficio, avrebbero perseguito un intento speculativo, posto che sia riscontrata un’attività di tipo “commerciale”, ancorché non prevalente, non organizzata e occasionale (Nota 6).
Alla luce di quanto sopra, la dottrina e la giurisprudenza (Nota 7) si sono quindi interrogate in particolare sulle differenze tra l’attività di godimento del “collezionista puro” e l’attività di tipo “commerciale” dello speculatore che commercia in opere d’arte seppure non abitualmente. Occorre subito segnalare che il confine fra le diverse figure è estremamente sottile e dipende da molte variabili, non solo legate al numero delle transazioni e al valore d’affari realizzato, ma anche all’intento perseguito, speculativo o di puro godimento.
In via interpretativa, quindi, si ritiene che la figura del mero collezionista d’arte ricorra quando colui che acquista e rivende le opere lo faccia per propria passione, senza uno specifico fine lucrativo; l’attività del “collezionista puro” è piuttosto riconducibile ad un’attività di mero godimento e la dismissione delle opere, generalmente dopo anni di possesso, non è funzionale al realizzo di un guadagno ma, ad esempio, è legata a mere esigenze finanziarie o di acquisto di altra opera(Nota 8). Per tali motivi le eventuali plusvalenze da realizzo conseguite dal collezionista privato non sono mai suscettibili di generare redditi soggetti a tassazione.
Diverso è il caso dell’investitore d’arte ovvero colui che, per l’intento speculativo perseguito, di fatto eserciti un’attività commerciale seppure in maniera non abituale, realizzando, quindi, redditi diversi ai sensi dell’art. 67 Tuir (Nota 9).
In concreto, quindi, l’individuazione della natura del soggetto venditore e, conseguentemente la qualificazione dell’operazione sotto il profilo fiscale, dipende dalla valutazione del caso concreto e dalla considerazione di tutta una serie di dati fattuali che, tuttavia come visto, non sono tipizzati da una disposizione normativa. Ciò genera, evidentemente, una situazione di incertezza che potrà essere chiarita solo da un intervento del legislatore, ovvero in sede interpretativa, dall’Amministrazione finanziaria.
Per contro, occorre qui segnalare che sono in genere considerate escluse da tassazione (Ris n. 5/E/2001) le cessioni d’opere effettuate dagli eredi o donatari che si presume siano poste in essere senza intento speculativo, e per tale ragione, non suscettibili di generare redditi imponibili, a prescindere dai valori realizzati. Tuttavia parte della giurisprudenza (Nota 10) ritiene che anche per le vendite da parte degli eredi non operi alcuna presunzione e per escludere la tassazione sia comunque necessario l’accertamento dell’intento speculativo “caso per caso”.
Non solo la cessione delle opere d’arte può dar luogo a tassazione ma anche il mero godimento dei frutti e lo sfruttamento dei beni può avere un rilievo fiscale.
Fra i redditi diversi, da assoggettarsi all’Irpef con aliquota progressiva in capo alla persona fisica proprietaria dell’opera d’arte, sono infatti compresi i corrispettivi derivanti dalla cessione di diritti di sfruttamento dell’immagine dell’opera d’arte, dalla sua pubblicazione, utilizzo e/o diffusione nonché dall’esposizione delle opere in mostre o musei.
Quanto ai diritti di sfruttamento, il nostro ordinamento prevede, a favore dell’autore di un’opera (e dei suoi eredi), il cosiddetto “diritto di seguito”, il cui obiettivo è proprio quello di consentire all’artista di beneficiare dell’eventuale incremento del valore delle proprie creazioni anche dopo averle vendute, che nel corso del tempo e in relazione alla fama raggiunta dall’autore può risultare rilevante (Nota 11).
Sempre sotto il profilo della tassazione diretta, qualche considerazione in più si pone con riguardo agli effetti fiscali e ad eventuali benefici legati all’acquisto di opere d’arte, distinguendo anche in tal caso fra soggetti privati o meno.
Nel caso di contribuenti lavoratori autonomi, l’art. 54, 5° comma TUIR prevede espressamente che “le spese per l’acquisto o l’importazione di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali” sono qualificate come spese di rappresentanza e, quindi, deducibili nel limite dell’1% dei compensi percepiti dall’esercente arti e professioni nel periodo di imposta.
Diversamente, per i titolari di reddito di impresa non è prevista una tale presunzione e, quindi, la deducibilità del costo è condizionata alla prova dell’inerenza dell’opera d’arte rispetto all’attività d’impresa svolta, secondo le regole generali di cui all’art. 109 TUIR (Nota 12). E’ opinione diffusa che gli oggetti d’arte con moderato valore artistico valutabili come semplici arredi sono ammortizzabili e quindi non danno luogo a costi deducibili dal reddito d’impresa, mentre le opere d’arte caratterizzate da ingente valore artistico non sono ammortizzabili e quindi deducibili, a meno che non rientrino nell’oggetto dell’attività (case d’aste o gallerie ecc).
Anche per le imprese, le spese sostenute per l’acquisto di opere d’arte possono essere qualificate come spese di rappresentanza (Circ. Agenzia delle Entrate n. 34/2009) ma a condizione che siano contraddistinte da finalità tipicamente promozionali, collegate a generare un ritorno economico; in tal caso i relativi costi sono deducibili nei limiti previsti dall’art. 108 Tuir (1,5% dei ricavi fino a 10 milioni di euro; 0,6% dei ricavi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni di euro; 0,4% dei ricavi per la parte eccedente 50 milioni di euro).
Infine, per quanto concerne il collezionista privato, il possesso e la conservazione in Italia dell’opera d’arte da parte anche di rilevante valore, se da un lato non comporta come visto alcuna tassazione (anche perché non esiste un’imposta di tipo patrimoniale), dall’altro lato non dà luogo ad alcun beneficio fiscale salvo alcune eccezioni; vi è infatti la totale indeducibilità di tutti i costi eventualmente sostenuti (costi di mantenimento, deposito, custodia, restauro, catalogazione o pubblicazione) che non trovano alcun riconoscimento fiscale diretto o indiretto se non, come visto, per alcuni interventi a favore di opere riconosciute di interesse storico o artistico “vincolate” ovvero di beni culturali pubblici.
Di contro, il possesso di opere d’arte possedute da collezionisti privati italiani detenute all’estero, comporta l’obbligo di un continuo monitoraggio fiscale attraverso la compilazione del quadro RW nella dichiarazione annuale dei redditi, la cui violazione determina pesanti sanzioni commisurate al valore del bene non dichiarato. Tale obbligo di monitoraggio è escluso nell’ipotesi in cui i beni all’estero siano oggetto di un mandato conferito a un intermediario finanziario italiano abilitato che ne gestisca i flussi finanziari e, conseguemente, assolva direttamente gli adempimenti ai fini del monitoraggio fiscale.
Da ultimo, sempre sotto il profilo delle imposte dirette, si ricorda che il legislatore fiscale, al fine di incoraggiare il mecenatismo e favorire la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, ha previsto alcune speciali agevolazioni Irpef-Ires a sostegno degli investimenti privati in favore del nostro patrimonio artistico e culturale.
In particolare, è prevista una detrazione fiscale Irpef del 19% per gli interventi di manutenzione, protezione o restauro dei beni di interesse storico e artistico. L’agevolazione spetta solo per i beni vincolati di valore storico o artistico riconosciuti tali da parte della Soprintendenza, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. lgs 42/2004); da tale definizione sono escluse le opere di autori viventi o quelle la cui esecuzione risalga a meno di 50 anni, così che le agevolazioni in commento non si applicano alle opere d’arte contemporanea.
Recentemente è stata introdotta anche un’altra agevolazione fiscale nella forma del credito d’imposta, il c.d. “Art Bonus”, in favore delle persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali in denaro per interventi a favore dei beni culturali pubblici (D.L. 31 maggio 2014 n. 83). Il bonus è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali e alle imprese nella forma di credito di imposta pari al 65% delle erogazioni effettuate e nei limiti del 15% del reddito imponibile Irpef per persone fisiche e enti, e del 5% dei ricavi annuali per i titolari di reddito d’impresa (ai fini ires), ripartito in tre quote annuali di pari importo. Le erogazioni agevolabili sono soltanto quelle dirette a favore di beni di proprietà pubblica, utilizzate per finalità di mantenimento, protezione e restauro di beni culturali pubblici e simili, mentre sono escluse quelle effettuate a favore di beni di proprietà privata (Nota 13).
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Esauriti gli aspetti relativi alle imposte dirette, ci soffermiamo di seguito sulle “questioni” rilevanti ai fini delle imposte indirette, con particolare riguardo all’Imposta sul valore aggiunto.
In ambito IVA, ai trasferimenti di opere d’arte si applica la regola generale di cui all’art. 2 DPR 633/72, in forza del quale sono imponibili le cessioni di beni poste in essere nel territorio dello Stato da soggetti passivi IVA; per contro, sfuggono alla tassazione le cessioni di opere da parte di privati consumatori.
Dal punto di vista dell’acquirente che sia soggetto passivo IVA (professionista o impresa), l’eventuale Iva assolta sull’acquisto sarà detraibile soltanto se “inerente” all’attività e quindi a condizione che il soggetto svolga attività di commercio di opere d’arte; diversamente l’Iva sarà indetraibile ai sensi dell’art. 19bis1 lett h) DPR 633/72.
Con riferimento agli operatori professionali si segnala la presenza di un regime di favore per le successive cessioni di opere acquistate da privati: si tratta del particolare regime di determinazione dell’IVA cosiddetto “regime del margine”, in base al quale la reintroduzione del bene sul mercato è soggetta ad Iva non sull’intero corrispettivo, ma solo sul “margine” ovvero la differenza fra il prezzo di vendita e quello d’acquisto, maggiorato delle spese di riparazione e di quelle accessorie (Nota 14).
La normativa IVA prevede altresì un trattamento agevolato anche per altre tipologie di operazioni aventi ad oggetto le opere d’arte: si applica l’aliquota ridotta del 10% alle cessioni effettuate dall’autore dell’opera oppure dai suoi eredi o legatari e alle importazioni di opere d’arte dall’estero. In tutti gli altri casi, il trasferimento di opere d’arte da parte di soggetti IVA effettuate nel territorio dello Stato, è soggetto ad aliquota Iva ordinaria, attualmente pari al 22%.
L’applicazione dell’aliquota agevolata del 10% richiede tuttavia qualche approfondimento sul bene oggetto di trasferimento, al fine di verificare se questo possa essere qualificato o meno “opera d’arte” ai fini dell’agevolazione. Secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate, per l’applicazione dell’aliquota Iva ridotta del 10% ai fini del riconoscimento della natura di “oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione”, occorre fare riferimento non tanto all’elenco di cui alla Tabella 1 allegata al D.L. 41/1995, che rileva ai fini del sopra citato “regime del margine” quanto alle disposizioni comunitarie in materia doganale (Nota 15).
Le importazioni di oggetti d’arte e di antiquariato o da collezione, sono soggette anch’esse all’applicazione dell’aliquota del 10% (oltre ai dazi) in dogana da chiunque siano effettuate (privato, rivenditore di oggetti d’arte, case d’asta, ecc.); a tal fine, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con circolare n. 24/E del 17 maggio 2010 occorre tuttavia tener conto anche del disposto dell’articolo 72, D.Lgs. 42/2004 (Nota 16), che prevede, in alcuni casi, l’obbligo di esibire il certificato di avvenuta spedizione e di avvenuta importazione che attesta l’ingresso di un bene culturale sul territorio nazionale, rilasciato sulla base di documentazione idonea ad identificare lo stesso e a comprovarne la provenienza dal territorio dello Stato UE o del Paese terzo dai quali il bene è stato spedito o importato.
Sempre sotto il profilo IVA, un’attenzione particolare va rivolta alle cessioni di opere, effettuate anche da privati, ma ricorrendo all’intermediazione di un operatore professionale, come gli antiquari professionali o le gallerie d’arte. In tali situazioni occorre infatti distinguere a seconda che l’intermediario agisca in forza di un mandato con oppure senza rappresentanza.
Nel primo caso, ovvero nell’ipotesi in cui l’intermediario agisca in nome e per conto del mandante, la vendita si considera effettuata direttamente da quest’ultimo per cui, se il venditore è soggetto Iva dovrà fatturare direttamente all’acquirente l’operazione; l’intermediario, invece, fatturerà soltanto la propria provvigione al mandante.
Diversamente, nel caso di mandato senza rappresentanza, ai fini IVA è come se si fosse in presenza di due trasferimenti del bene: il primo dal mandante (proprietario) all’intermediario (mandatario) e il secondo dall’intermediario (mandatario) all’acquirente finale. Pertanto, mentre la prima cessione potrà essere considerata, a seconda dei casi fuori campo Iva (se il mandante è privato), oppure soggetta ad Iva (se il mandante è operatore commerciale); la seconda cessione (dall’intermediario all’acquirente finale) sarà sempre un’operazione rilevante ai fini Iva in quanto posta in essere da un soggetto passivo d’imposta. Con riferimento a tali fattispecie, con la risoluzione n. 67/E/2000, l’Agenzia delle entrate ha infatti precisato che la provvigione dell’intermediario dovrà essere fatturata separatamente dall’operazione di cessione dell’opera, trattandosi di una diversa prestazione di servizio.
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Un’ultima annotazione riguarda, infine, l’imposta di successione e donazione.
Le norme vigenti in Italia (articolo 9 del D.lgs. 346/1990 o TUS) prevedono che si considerino compresi nell’attivo ereditario e quindi assoggettati a imposta di successione (con le aliquote e franchigie previste dalla legge Nota 17) denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore dell’asse ereditario netto. Sono comprese nel concetto di “mobilia” “l’insieme dei beni mobili destinati all’uso o all’ornamento delle abitazioni, compresi i beni culturali non sottoposti al vincolo di cui all’art. 13“, ovvero il vincolo storico-culturale da parte del Ministero dei Beni Culturali. In altri termini, per presunzione di legge, le opere d’arte che rientrano nella definizione di “mobilia” di cui sopra, anche se non indicate nella dichiarazione di successione, sono comunque soggette all’imposta di successione e il loro valore imponibile, anziché essere determinato “assumendo il valore venale in comune commercio” alla data di apertura della successione (e quindi il valore di mercato dell’opera al momento del decesso) in base al criterio generale ex art. 19 del TUS, è determinato a forfait in misura percentuale rispetto al valore dell’asse ereditario netto, con un evidente vantaggio fiscale nel caso in cui il loro valore di mercato sia notevolmente superiore.
La forfetizzazione al 10% trova applicazione solo qualora le opere siano detenute in abitazioni private, escludendo così dall’agevolazione le opere custodite in cassette di sicurezza, depositi, oppure esposte in musei per le quali valgono invece le regole generali (dichiarazione e imposta sul valore venale).
Il descritto meccanismo del forfait al 10% non può trovare applicazione con riferimento all’imposta di donazione che è calcolata in via ordinaria in base al valore venale in comune commercio dell’opera oggetto di donazione.
Pe i beni d’arte assoggettati ai vincoli storico culturali che ne limitano la trasferibilità, è prevista l’esenzione totale dalle imposte di successione e donazione, sempreché il vincolo sia stato rilasciato precedentemente al decesso previo rilascio di apposita certificazione rilasciata dalla Soprintendenza alle Belle Arti e che il bene sia stato accuratamente conservato secondo il decreto di vincolo emesso dal Ministero e a condizione che siano rispettati altri requisiti procedurali e sostanziali (come la mancata vendita nei cinque anni dall’apertura della successione).
Nel caso di donazione di opere assoggettate a vincolo storico culturale l’atto è soggetto ad imposta di registro in misura fissa.
Nota 1) Il Codice dei Beni Culturali (Dlgs. 42/2004 e successive modifiche e integrazioni) disciplina la circolazione internazionale delle opere e stabilisce quali beni non possono essere trasferiti in via definitiva all’estero. Si tratta di tutti i beni vincolati, cioè: a) se di proprietà privata, soggetti a tutela per effetto di un formale provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale “particolarmente importante”; b) se beni di appartenenza pubblica, a seguito di “verifica” dell’interesse culturale oppure, nel caso di opera di autore non più vivente o la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, anche se non sia ancora intervenuta la verifica dell’interesse culturale. È soggetta, invece, ad autorizzazione ministeriale preventiva l’uscita definitiva delle cose di proprietà privata che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre settanta anni; nonché l’uscita definitiva di alcuni beni, quali fotografie ed esemplari di opere cinematografiche, auto d’epoca, strumenti scientifici ecc.. Resta libera l’uscita definitiva dal territorio nazionale delle opere artistiche e degli oggetti d’arte di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre settantanni; è posta a carico dell’interessato fornire al competente Ufficio di esportazione la prova della sussistenza di tali presupposti.
Per tutti i beni culturali può comunque essere richiesta l’uscita temporanea, per gli scopi tassativamente stabiliti dalla normativa vigente in materia, quali ad esempio la realizzazione di mostre ed esposizioni, previa acquisizione dell’attestato di circolazione temporanea. La competenza relativa al rilascio di autorizzazioni di esportazione/importazione per beni culturali mobili è attribuita all’Ufficio Esportazione della Soprintendenza, ufficio preposto al controllo e al rilascio delle relative autorizzazioni, che rilascia, a domanda, le certificazioni previste dal Codice.
Nota 2) Nella Tabella 1 allegata al D.L. 41/1995 sono individuati gli “oggetti d’arte, di antiquariato e da collezione” a cui è applicabile il regime IVA del margine: “a) “Oggetti d’arte”:
– quadri “collages” e quadretti simili (“tableautins”), pitture e disegni, eseguiti interamente a mano dall’artista, a eccezione dei piani di architetti, di ingegneri e degli altri progetti e disegni industriali, commerciali, topografici e simili, degli oggetti manufatturati decorati a mano, delle tele dipinte per scenari di teatro, sfondi di studi d’arte o per usi simili (codice NC 9701);
– incisioni, stampe e litografie originali, precisamente gli esemplari ottenuti in numero limitato direttamente in nero o a colori da una o più matrici interamente lavorate a mano dall’artista, qualunque sia la tecnica o la materia usata, escluso qualsiasi procedimento meccanico e fotomeccanico (codice NC 9702 00 00);
– opere originali dell’arte statuaria o dell’arte scultoria, di qualsiasi materia, purché siano eseguite interamente dall’artista; fusioni di sculture a tiratura limitata a 8 esemplari, controllata dall’artista o dagli aventi diritto (codice NC 9703 00 00); a titolo eccezionale in casi determinati dagli Stati membri, per fusioni di sculture antecedenti il 1° gennaio 1989, è possibile superare il limite degli 8 esemplari;
– arazzi (codice NC 5805 00 00) e tappeti murali (codice NC 6304 00 00) eseguiti a mano da disegni originali forniti da artisti, a condizione che non ne esistano più di 8 esemplari;
– esemplari unici di ceramica, interamente eseguiti dall’artista e firmati dal medesimo;
– smalti su rame, interamente eseguiti a mano, nei limiti di 8 esemplari numerati e recanti la firma dell’artista o del suo studio, a esclusione delle minuterie e degli oggetti di oreficeria e di gioielleria;
– fotografie eseguite dell’artista, tirate da lui stesso o sotto il suo controllo, firmate e numerate nei limiti di 30 esemplari, di qualsiasi formato e supporto;
- b) “Oggetti da collezione”:
– francobolli, marche da bollo, marche postali, buste primo giorno di emissione, interi postali e simili, obliterati o non obliterati ma non aventi corso né destinati ad aver corso (codice NC 9704 00 00);
– collezioni ed esemplari per collezioni di zoologia, di botanica, di mineralogia, di anatomia, o aventi interesse storico, archeologico, paleontologico, etnografico o numismatico (codice NC 9705 00 00);
- c) “Oggetti di antiquariato”: i beni diversi dagli oggetti d’arte e da collezione, aventi più di 100 anni di età (codice 9706 00 00).
Nota 3) Prima dell’entrata in vigore del Tuir, l’art. 76 del DPR n. 597/1973 stabiliva la presunzione assoluta secondo cui si considerava effettuata in via speculativa ogni operazione qualificabile come “acquisto e vendita di oggetti d’arte, di antiquariato e in genere da collezione, se il periodo di tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita non è superiore a due anni” prevedendo, quindi, che tutte le plusvalenze relative a qualsiasi compravendita nel bienno dall’acquisto fosse automaticamente tassata ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche. Tale disposizione non è stata trasposta nel nuovo Testo Unico delle Imposte sui redditi (DPR n. 917/1986 o Tuir).
Nota 4) Secondo la proposta di legge, con norma di interpretazione autentica dell’art. 67 Tuir, era disposto che le plusvalenze su opere d’arte e da collezione realizzate da persone fisiche al di fuori dell’attività di impresa erano incluse fra i redditi diversi e quindi sempre tassate in via ordinaria; veniva però prevista la facoltà di determinare, alternativamente, la plusvalenza a) in maniera analitica sulla base della differenza tra prezzo di vendita e costi di acquisto incrementati da ogni altro costo correlato; ovvero b) a forfait in misura pari al quaranta (40) per cento del prezzo di cessione, importi sempre da tassare con aliquota Irpef marginale ordinaria.
Nota 5) Come noto, per verificare se l’attività di compravendita svolta possa configurare attività d’impresa, occorre far riferimento all’art. 55 Tuir secondo cui “Sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché’ non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c…” tra cui rientra, per ciò che qui interessa, l’attività intermediaria nella circolazione dei beni. Rispetto alla normativa civilistica, la normativa fiscale del Tuir prescinde dal requisito organizzativo e richiede piuttosto l’abitualità nell’esercizio delle attività di natura commerciale.
Nota 6) Secondo l’Agenzia sono “indici” di commercialità, seppure occasionale i seguenti comportanti: i) reperimento di fondi necessari all’acquisto di un’opera (es. mutuo o vendita di altre opere) ii) iniziative per verificare l’autenticità e per stimare il valore della collezione iii) attività di cura, conservazione e restauro delle opere iv) ricerca di strutture idonee alla custodia delle opere compreso il noleggio di cassette di sicurezza v) stipula di contratti assicurativi vi) catalogazione delle opere vii) promozione ed esposizione in mostre e gallerie.
Nota 7) In dottrina si segnala in particolare G. Maisto “Profili fiscali relativi all’acquisto e detenzione di opere d’arte” in “Il diritto dell’Arte” vol II a cura di G Negri-Clementi e S. Stabile ed Skira 2013.
In giurisprudenza si vedano Corte di Cassazione (sentenze n. 21776/2011, 2809/2008, 8198/2008, 27211/2006 e 9776/2003) e la giurisprudenza di merito (CTP Trento sez II n. 191/II/2017 e CTP Torino n. 351/III/20018, CTR di Venezia 865/2017 e n. 279/2016; CTR di Firenze 826/2016) che hanno rilevato indici di un’attività economica nella cessione di opere d’arte elementi quali: i) il carattere continuativo dell’attività svolta ii) il giro d’affari realizzato nelle compravendite iii) la prevalenza della fonte di reddito da cessione di opere rispetto ad altre fonti, se esistenti iv) la quantità e la qualità di attività intermedie compiute per incrementare il valore delle opere v) il breve lasso di tempo intercorso tra l’acquisto e la cessione della medesima opera vi) la promozione delle vendite effettuate attraverso mezzi pubblicitari.
Nota 8) Si vedano in tal senso le sentenze CTP Firenze n. 101/XVII/2005 e CTR Venezia n. 279/XXIX/2016.
Nota 9) Si segnala in particolare Cassazione, sentenza n. 21776 del 20 ottobre 2011 per la quale può essere fiscalmente rilevante la compravendita di opere d’arte o beni da collezione da parte del collezionista se ha natura “commerciale” ciò che “implica necessariamente una pluralità di atti coordinati e diretti alla realizzazione del medesimo scopo che può trovare riscontro nel caso in cui si accerti la stretta relazione funzionale – verificata in base a concreti elementi circostanziali tra l’atto di acquisto a quello successivo di vendita, ovvero anche nel compimento di una serie di atti intermedi volti ad incrementare il valore del bene in funzione della successiva vendita (ed in relazione a tali presupposto bene può configurarsi…il carattere speculativo della operazione…”.
Nota 10) Si veda la Commissione Tributaria Provinciale di Torino, n. 351/3/18 con riferimento alle vendite, da parte degli eredi, di una collezione di auto d’epoca acquistate dal de cuius nel corso della propria vita. Pur in presenza di cessioni frazionate, che secondo l’Agenzia denotavano l’intento speculativo, i giudici hanno deciso che comunque la cessione in blocco della collezione, ancorché frazionata ma a prezzi più contenuti rispetto ad una vendita a differenti acquirenti, manifestava uno scarso fine speculativo quanto più un intento dismissivo del patrimonio ereditato. Tale sentenza è stata poi confermata dalla Commissione Tributaria Regionale di Torino, n. 1412/3/2018, del 18 settembre 2018, secondo cui la “vendita in blocco” di una serie di opere acquistate molto tempo prima non può configurare un evento impositivo se è dimostrato che “gli acquisti erano avvenuti, in un’ottica amatoriale, nel corso di un quarantennio, mentre le vendite erano state fatte nell’ottica della dismissione del proprio preesistente patrimonio, accumulato negli anni. Lo stesso diede plausibile dimostrazione delle ragioni, documentate in atti, che lo indussero alla dismissione del proprio patrimonio artistico”.
Nota 11) Il diritto di seguito venne introdotto nella legislazione italiana sul diritto d’autore con la Legge 633/1941, ma le disposizioni in materia hanno trovato effettiva applicazione solo a seguito del recepimento della Direttiva 2001/84/CE del 27 settembre 2001, con il D Lgs del 13 febbraio 2006 n. 118. Il diritto di seguito, che spetta per tutta la vita dell’autore e per 70 anni dopo la sua morte, consiste nel diritto di beneficiare dell’incremento del valore dell’opera d’arte per ogni vendita successiva al primo trasferimento del bene dall’artista, cui partecipi in qualità di venditore, acquirente o intermediario, un professionista del mercato dell’arte; tale diritto è irrinunciabile dall’artista, inalienabile ma trasferibile a titolo successorio agli eredi L’ente preposto alla riscossione del diritto di seguito per conto di tutti gli artisti, anche se non associati all’ente stesso, è la SIAE. Il compenso è posto a carico del venditore ed è calcolato sul prezzo di vendita, al netto dell’imposta, in base all’applicazione di percentuali differenziate per scaglione di prezzo.
Nota 12) Si veda Comitato Consultivo per le norme antielusione del 14 ottobre 2005, n. 29 : “l’acquisto di una scultura di ingente valore da adibire ad arredo di un immobile non costituisce un bene ammortizzabile e il relativo costo non può essere quindi dedotto ex art. 102 Tuir.” Nello stesso senso Cassazione, sentenza del 13 ottobre 2006, n. 22021 in relazione all’acquisto di quadri da parte di un albergo come arredo per i propri ambienti. Contra, Comitato consultivo per le norme antielusione, con il parere del 5 maggio 2008, n. 8, si è espresso in favore dell’ammortamento dell’acquisto di un’opera d’arte.
Nota 13) Le erogazioni liberali devono essere effettuate esclusivamente in denaro e perseguire i seguenti scopi:
- interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici;
- sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica (come espressamente precisato negli atti parlamentari: musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici);
- sostegno delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione;
- realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo.
Nota 14) Il Regime del Margine, disciplinato dagli articoli 36 e seguenti del DL n 41/1995, è un regime speciale di applicazione dell’IVA rivolto ai soggetti che abitualmente effettuano operazioni di commercio al dettaglio, all’ingrosso o in forma ambulante di beni mobili usati, antiquariato, oggetti d’arte o da collezione (comprese le cessioni di beni effettuate dagli esercenti agenzie di vendite all’asta), a condizione che non abbiano subito, all’atto dell’acquisto, la rivalsa dell’imposta ad esempio in quanto acquistati da soggetti privati o equiparati. Il regime è volto ad evitare fenomeni di doppia imposizione per i beni che dopo l’uscita dal circuito commerciale vengono ceduti ad un soggetto passivo per la successiva rivendita e prevede quindi che sia assoggettato a IVA il solo utile lordo realizzato dal rivenditore cd. “margine“.
Nota 15) Si veda circolare n. 24/E/2010 dell’Agenzia delle Entrate secondo la quale non tutti i beni compresi nella Tabella 1 allegata al D.L. 41/1995 sarebbero qualificabili come “opere d’arte” ai fini doganali e quindi ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 10%. A tal fine, al contrario di quanto sostenuto in precedenza dalla stessa Agenzia (circolare n. 177/E/1995) non viene ritenuta più necessaria l’attestazione rilasciata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
In base alla nomenclatura combinata della tariffa doganale si considerano ai fini dell’IVA al 10% i beni inclusi nel capitolo 97 di seguito indicati:
97.01 Quadri, pitture e disegni, eseguiti interamente a mano, esclusi i disegni della voce 4906 e gli oggetti manifatturati decorati a mano; “collages” e quadretti simili (“tableautins”)
9701.10 Quadri, pitture e disegni
9701.90 altri
97.02 Incisioni, stampe e litografie, originali
97.03 Opere originali dell’arte statuaria o dell’arte scultoria, di qualsiasi materia
97.04 Francobolli, marche da bollo, marche postali, buste primo giorno di emissione, interi postali e simili, obliterati o non obliterati, diversi dagli articoli della voce 4907
97.05 Collezioni ed esemplari per collezioni di zoologia, di botanica, di mineralogia, di anatomia, o aventi interesse storico, archeologico, paleontologico, etnografico o numismatico
97.06 Oggetti di antichità aventi più di cento anni di età
Nota 16) La circolare n. 24/2010 ha fornito alcune note operative sull’applicazione dell’aliquota ridotta del 10% alle importazioni di opere d’arte, precisando che l’ufficio doganale dovrà verificare il codice di Nomenclatura Combinata degli oggetti d’arte importati, secondo le regole comunitarie, qualora per tali beni non sia previsto il rilascio da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della certificazione attestante la qualifica dello stesso come oggetto d’arte, d’antiquariato o da collezione.
Si tratta dei beni diversi dai seguenti (per cui invece è richiesto il certificato): a) cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore, salvo qualche eccezione, sia superiore ad euro 13.500; b) archivi e dei singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale; c) fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni d) i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni e) i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni.
Per questi specifici beni, invece, per cui deve essere rilasciata l’apposita certificazione di interesse culturale, sarà sufficiente verificare che gli stessi rientrino nelle categorie previste dalla Tabella allegata al D.L. n.41 del 1995, ai fini dell’applicazione dell’Iva 10%.
Nota 17) Attualmente l’imposta di donazione/successione si calcola con aliquote variabili in funzione del grado di parentela esistente tra il defunto e gli eredi:
4% sul valore complessivo dei beni ereditati che eccede la franchigia di 1.000.000 di euro (per ogni erede) se gli eredi sono il coniuge o i parenti in linea retta;
6% dello stesso valore che eccede la franchigia di 100.000 euro (sempre per ogni erede) se gli eredi sono fratelli e sorelle;
6% dello stesso valore ma senza nessuna franchigia se gli eredi sono altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta o affini in linea collaterale fino al terzo grado;
8% dello stesso valore, anche in questo caso senza nessuna franchigia, se gli eredi sono soggetti diversi dai precedenti.